domenica 7 dicembre 2008

Il nostro tempo sta per scadere...

Il mare era agitato. Bender poteva vedere le onde infrangersi sul porto, come se tentassero di guadagnare la riva con il loro ultimo alito di vita.
Accanto alla balaustra della nave, le vedeva infrangersi contro il bagnasciuga. L'iPod nelle orecchie aveva deciso di suonare "Every rose has its thorn" e la piacevole voce del cantante dei Poison gli rendeva meno triste l'addio. La nave sarebbe salpata da lì a poco. Verso un futuro incerto, forse una nuova vita che avrebbe costruito lontano, partendo da zero. Un amaro sorriso gli comparve sul viso. Rammentò allora di un vecchio detto popolare... "chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa cosa perde..." eccetera eccetera. Lui sapeva bene cosa avrebbe perso. Ventidue anni della sua vita, in cui aveva costruito tante cose, belle e brutte... sapeva che quella nave l'avrebbe portato lontano.
"Far away... this ship is taking me far away...". La canzone calzava a pennello, e Bender si lasciò trasportare dalle note di Starlight per un po'. I Muse, un gruppo che adorava... era forse un caso che il riproduttore casuale del suo iPod l'avesse selezionata? No, aveva smesso di credere nel caso. E intanto, si chiedeva - un po' per curiosità un po' per paranoia - a quante persone sarebbe importato se lui fosse vivo o forse morto. Forse alla manica di briganti con cui aveva combattuto la solitudine nell'ultimo periodo trascorso in quel luogo un po' sarebbe dispiaciuto...
C'era Carletto, il Simpatico, come molti lo chiamavano, soprannome dovuto alla sua spontanea inclinazione al ridere - una volta ogni 4 anni come le olimpiadi o i mondiali di calcio.
Cercò di non pensarci, alla fine non sarebbe diventato altro che una domanda occasionale nelle riunioni del gruppo. Poi Peppe, o "l'assassino", come lui voleva essere chiamato. L'utlima volta che l'aveva visto era stata la sera prima, quando fin troppo ubriaco zigzagava per tornare a casa, mentre lui e Paco ridevano per i suoi vagabondaggi nella piazzuola antistante il parco dove abitava, pronti a scattare giù dalla macchina in caso di difficoltà da parte sua. Poi, Paco, forse quello che per più tempo - Bender si chiedeva ancora se per rifuggire l'accidia abituale o per puro alcolismo - gli aveva fatto compagnia in questo periodo. E poi c'era Simone, con cui aveva sempre avuto alti e bassi - e gran parti di questi erano dovuti a delle donne - che spesso era con loro nelle serate all'Harpos, il pub frequentato più assiduamente. C'erano stati alti e bassi con lui, ma sempre si erano divertiti... o almeno così credeva... La playlist del lettore mp3 passò ai Greenday... Time of your life... anche questa molto adatta alla situazione. Pensò per un attimo a Riccardo, il suvutatore, il guardia di porta, persona esuberante e senza morale, che aveva procurato spesso grasse risate a tutto il gruppo. Ma, a parte tutto, era uno dei suoi compagni, ed era pronto a trascurare tutte le sue uscite infelici riguardanti la sorella sua, e quella di Paco.
Bender ritornò un attimo alla canzone dei Greenday. Un bivio si presentava sulla strada. Restare o andarsene. Lui aveva scelto la via più facile. quella di andarsene. Ma anche sulla via più semplice, i dubbi restavano, e Bender pensava di affogarli nella musica, ma anche questa non aiutava, con tutte queste canzoni, quale più quale meno, nostalgiche. E poi, come un lampo gli si ripresentarono davanti tutte le persone che aveva conosciuto, quelle che aveva amato, e che poi aveva perso o da cui era stato tradito, tutte le persone a cui aveva voluto bene, e che reputava amiche. A tutte le esperienze che aveva vissuto fino a quel punto.
Per un attimo, lo stomaco gli si chiuse, pensando che non le avrebbe mai più riviste. E questo tutto ad un tratto non gli andava più bene. Proprio in quel momento la nave fischiò, segnale della partenza, e cominciò pigramente ad allontanarsi dal porto. Vide la luna scintillare sulla massa d'acqua davanti a lui, e decise che per abbandonare tutto non sarebbe bastata la speranza di una nuova vita. Distolse lo sguardo dal mare, e spiccò un salto dal parapetto della nave, guardando la luna piena, verso la massa d'acqua nera, puntando alla riva. Sentì il gelo del mare invernale chiudersi su di lui, e proprio in quel momento, affondando mentre cercava di annaspare verso la superficie, come se qualcuno dall'alto si stesse prendendo gioco di lui, il lettore musicale passò Time is Running Out dei Muse... Le ultime parole che sentì furono "I think I'm drowning, asphyxiated", poi niente più.

Quella sera, al pub i ragazzi avevano appena ordinato la loro birra. Uno di loro alzò il boccale.
- Ragazzi, un augurio di buona fortuna a Bender, per quello che starà facendo in questo istante.
Un altro rispose - Magari ci inviterà un giorno, da lui.
I boccali tintinnarono per il brindisi, e tutti presero un sorso.
- Ciao ragazzi. - disse Bender, ancora umido per tutta l'acqua che aveva incontrato quel giorno.
Tutti quanti lo guardarono, stupiti ed interrogativi. Al chè rispose:
- Ragazzi, una nuotata di quasi 3 chilometri nel mare invernale non la auguro a nessuno. Ho bisogno di una Scotch grande.
Tutti lo guardavano stupefatti. Infine qualcuno chiese:
- Ma perché non sei partito?
Altezzosamente, Bender rispose - Non ne valeva la pena.
E tutti gli altri, in coro, sonoramente:
- Ma vaffanculo!
A cui Bender rispose, sorridendo:
- Grazie, ragazzi... vi voglio bene...

sabato 6 dicembre 2008

5:12

Per la serie, le verità della vita:
Quando alle cinque del mattino hai finito di vedere un film sul portatile di tuo fratello, il problema è sempre doverti alzare dal divano con una temperatura esterna di 20 gradi Kelvin facendo attenzione a non inciampare nei cadaveri dei pinguini morti assiderati che tappezzano il pavimento della stanza...
Si vede che sto cercando di ritardare il momento in cui mi toccherà attraversare casa per andare nel lettuccio, eh?

mercoledì 12 novembre 2008

"Che dici, li lasciamo andare?" "Va be', va..."

Dopo Carletto, i nostri eroi accompagnarono Simone a casa, sotto le note di Iris, Goo Goo Dools, cantando a squarciagola e ripensando a tutto ciò che del loro passato gli riportava alla mente la triste canzone, ognuno alle proprie illusioni, alle rispettive donne...
Simone salutò, arrivato sotto casa... aprì il portoncino e si avviò verso le scale. Bender scese dal veicolo e lasciò a Paco il compito di gestire lo stereo. Si avvicinò al suo angolino, dietro casa di Simone, sbottonò il pantalone ed orinò fischiettando qualche vecchia canzone dei Dire Straits.
Rientrò in macchina che Heart Shaped Box era già a metà, e trovò Paco che la canticchiava. Continuò a cantarla con lui. Innestò la prima e scese per il Corso, verso casa di Paco per portare anche lui alla sua beneamata dimora.
Notò la volante dei Carabinieri solo all'ultimo momento, quando la paletta stava già intimandoli di fermarsi.
Il vetusto esponente dell'Arma si avvicinò loro.
- Mi favorisce i documenti?
- Ma certamente - non si scompose Bender, e rapidamente estrasse la patente, mentre Paco cercava nel portacarte di gomma il libretto della Punto. Lo diede al conducente, che lo fornì assieme al documento al carabiniere.
- Anche il suo - riferì il maresciallo indicando Paco, che cercò la carta d'identità tra le scartoffie che portava in giro nel suo portafogli.
Al chè, il milite guardò Bender.
- Da dove venite? - guardò interrogativo.
- Uhm, siamo appena usciti da un pub nei presi di... uhm... da dove, Paco?
- Casolla... - Risposte prontemente il trasportato.
- Ah - il funzionario dell'Arma - e cosa avete bevuto?
- Mha, una birra per me e...
- Una birra anch'io - risposero i due...
- Fate il test del palloncino? - e i due già si aspettavano la nottata in questura... C'è da dire che un paio di birre e mezzo le aveva incorporate Bender, mentre per Paco un mezzo litrozzo era all'ordine della serata.
I due scesero dal veicolo, ormai resisi conto del tristo destino che li attendeva.
Il Carabiniere, sprezzante... - Una birra per uno, quindi due birre...
Voleva fare il simpatico. Ma in fatto di simpatia, che Ivana Spagna ce ne scampi, i nostri erano più ferrati...
- Meno male che non eravamo in cinque, altrimenti sarebbero state cinque birre... - Disse Bender cercando di dare un nuovo senso alla parola simpatia.
Il milite si mise a ridere. E ad un certo punto guardò il collega.
- Li lasciamo andare? - propose.
- Ma sì dai... Ragazzi voi che andate a fare adesso?
- Mha, direi dormire visto che domani si lavora - commentò Paco.
- Va be', va, andate pure...
- Ah grazie, buonanotte - esclamò Bender, sollevato

Nothing else matters era già alla prima strofa, quando Paco si girò verso Bender, che alla guida si apprestava ad imboccare il sottopasso.
- Che culo! - disse.
- Ma serio! - rispose Bender.

E fu così che i nostri eroi tornarono sani e salvi a casa, e con la fedina ancora (per poco?) immacolata.

Per la serie, storie di vita vissuta.
Buonanotte :D

sabato 25 ottobre 2008

Qualcosa di impegnato...

Be', visto che non è sempre tempo per il cazzeggio, ecco un post più impegnato.
Diciamolo, tutti abbiamo sentito parlare dei docili animaletti di nome panda. Simili ad orsi, ma più miti e più graziosi, gli animaletti da compagnia che tutti vorremmo avere o essere.
Be', i disastri ambientali che l'uomo ha causato, purtroppo, hanno messo a rischio questa specie. E pertanto, in vista di questa catastrofe, apro il cuore a questi simpatici animaletti che più di tutti soffrono dalla mancanza di lungimiranza umana.
Panda. La loro sopravvivenza non è così bianca e nera.

Mi raccomando, il vostro aiuto può fare tanto!

domenica 20 luglio 2008

Una serata d'ordinaria follia...

Tutto cominciò con una domanda innocente: "Che cazzo facciamo stasera?"
Qualcuno rispose: "Ho sentito che i guaglioni suonano al New Dream"
Tutti: "Wa, andiamo."
E questo è il prologo di una serata che lascia interrogativi aperti nelle nostre vite più di un finto trailer creato a strafottere da Rodriguez e Tarantino. E così ci recammo all'ameno luogo.
Arriviamo in tempo per i Deus, che ascoltiamo piacevolmente tra un rhum ed un altro cercando di resistere alle torride vampate della sovrappopolazione in Cina. Ma fin qui, tutto regolare.
Dopo il secondo rhum, Simone comincia a delirare. Cerca tarantelle per il locale e cita Boris più di quanto il buon senso possa imporre. E il suo delirio coinvolge due povere donzelle (ok, saranno state goth e minorenni quanto basta, ma sono state coinvolte) che divertite danno corda a lui ed a me, trovato per caso in mezzo alla questione. Ma questo è sempre normale.
Caso volle che una delle due fosse sorella al cantante di uno dei gruppi della serata, che - come se non fossero abbastanza i suoi 90 e passa chili di muscoli - aveva anche il bassista che probabilmente aveva vinto un premio di consolazione in un concorso di culturismo aggravato. Ma va be', può capitare.
Dopo diversi qui pro quo e plurime espressioni oblique dai sovraccitati bestioni, ci troviamo nel parcheggio a cantare Free Bird e poi il singolo per cui Franco Zurzolo ha fatto i miliardi (o almeno ha pagato la mensa dei poveri per un paio di settimane), la mitica "O' Fumm". Certo, non proprio cosa ordinaria, ma comunque non eclatante.
Siamo al settimo rhum, la gente comincia a collassare, io resto a pogare sotto la cover band degli Iron Maiden assieme a Riccardino, un uomo un rullo-compressore. Esco da lì con occhi lucidi (stile *_*) dopo che la mia dea mi rivolge la parola, e raggiungo i ragazzi che finiscono di collassare (nonostante tutto Paco resiste... sì, è più acido e tende a menare più mazzate tirando in ballo argomenti proibiti, ma in generale resiste). In lontananza una delle compagne di bevuta collassa chiamando a gran voce il suo ex. Be' - penso - è normale, ci siamo passati tutti.
Poi è l'ora dei saluti, perché i meno propensi al bere ci stanno rimanendo secchi. In fretta salutiamo e saliamo in macchina. Alla fine restiamo io e Claudio, che, come consuetudine, finiamo la serata a mangiare un calzone fritto da Corbelli. Poi tutti a casa (stranamente vivi... lo stranamente era perché io guidavo O.o) con il portafogli alleggerito e i neuroni all'Oktober Fest di luglio. E va be', mica è una novità...
Alla fine l'unica nota fuori l'ordinario di stasera è stata:
MA QUELLE CAZZO DI SPILLE CHE HO COMPRATO, DOVE CAZZO LE SONO ANDATO A PERDERE, PERDIO??!!!

domenica 13 luglio 2008

Once upon a time...

C'era una volta un ragazzo. Non era niente di che, nella norma insomma... era simpatico, sì, gli piaceva divertirsi. Quando ce n'era bisogno sapeva prendere in mano la situazione ed evitare il peggio. Ma per il resto, era una persona come tutte le altre, una di quelle che non noti subito e che hai bisogno di tempo per apprezzare (o amare). Ma un bel giorno il ragazzo si innamorò - e la sua intelligenza aumentò di una cinquantina di punti calcolati su scala Q.I.. E vide il mondo sotto un'ottica differente. Ed era talmente preso a pensare alla sua amata che non si accorse che c'erano molte persone che aveva affascinato con i suoi nuovi modi di comportarsi e di vedere il mondo. E capitò che se ne accorgesse. E, visto che era di indole buona, cominciò - anche se spesso in imbarazzo - a cercare di soddisfare tutti. Ma questo fu il suo errore. Perché a questo mondo ci sono oppressi ed oppressori, ed è inutile cercare di far stare bene tutti. Qualcuno dovrà rimetterci. Ed il caro ragazzo, da inesperto qual era, ci rimise. Ed anche parecchio. Non solo perse tutto il fascino che aveva guadagnato facendosi venire dubbi su ogni cosa che faceva, ma addirittura questi pensieri gli fecero trascurare chi amava. Ed anche se un bel giorno ottenne ciò che più desiderava, questi pensieri lo segnarono a vita. E perse ciò a cui più teneva. Ed additò tutto quello a cui aveva pensato a cagione di averla persa. Ma non incolpò mai se stesso, finché non fu troppo tardi.
E solo allora si rese conto che il suo problema era lui. Era il modo in cui aveva smesso di guardarla sognante, era il modo in cui aveva smesso di ascoltarla, era il modo in cui aveva fatto finta di smetterla di amarla. E che aveva creduto che non l'amava più. Finché non capì che amarla era ciò per cui era stato messo al mondo. E capì di aver sbagliato tutto.
Capì che i suoi pensieri erano più che validi, non in senso oggettivo, ma perché erano suoi, la sua visione della realtà. E capì che in fin dei conti lui era uno dei buoni.
E capì che l'avrebbe amata, per sempre.

domenica 22 giugno 2008

We haven't had that spirit here since 1969

Be', un post ad inizio Giugno, ed uno a fine mese... cosa c'è di meglio dalla vita?
Hotel California, degli Eagles. Già... questa canzone colpisce. Diciamo che dopo averne per la prima volta compreso il testo fa anche rabbrividire, ma penso faccia parte della canzone, e di non essere stato il solo a provarlo. E qui già vedo nei commenti il solito imbecille che scrive "SEI UN FROCIO!" e a cui mi tocca rispondere con un "MA CAGACI IL CAZZO!" per restare in linea... ma va be', si divaga. Ah, sapete che sono stato al Metalfest stasera? Si, e l'organizzatore ci ha offerto anche una birra dopo averci visto con un Peroncino da 0,66 introdotto di stramacchio alla festa :D i piccoli piaceri della vita, come quello di mettere in fuga gli emo semplicemente alzandoti dal posto a sedere... Unico neo della serata la tipa che mi ha confessato il suo amore... mi spiace, ma il mio cuore è già impegnato... ti rigirerò a Claudio u.u
Stronzate a parte, notte... vado a dormire e la smetto con i post da punkprincess neodiciassettenne...

PS: W LO SGRAAL!

venerdì 6 giugno 2008

Giugno

Inauguro così il mese di giugno sul blog.
Cazzo, è quasi un anno che l'ho aperto e dopo l'entusiasmo iniziale (guardate la frequenza dei post da settembre fino a metà novembre) l'interesse è andato via via scemando. Sono accadute tante cose in questo periodo, e bene o male le più importanti le ho documentate. A volte ho usato questo spazio per aprirmi un po', a volte per sfogarmi (e, devo dire la verità, scrivere sfoga parecchio), a volte per divertirmi assieme agli amici che commentavano, a volte per far conoscere un po' della musica che ritenevo meritevole di essere conosciuta ai frequentatori del blog. A volte perché non avevo nulla da fare. In questo periodo però sto avendo fin troppo da fare e i post si sono ridotti.
Be' adesso arriva l'estate.
Per ora sogno di andare un giorno al mare - è difficile con lavoro, esami e GdR vari in corso - perché un po' di sole mi farebbe bene. Però sentirsi scivolare da dosso i pensieri mentre così come con gli occhi chiusi in apnea l'acqua ti scivola sulla pelle è rilassante.
Devo dire che finora mi sono divertito ed ho fatto quello che volevo fare. Mi sono sentito un vent'enne e non un cinquant'enne, almeno per un po'. E non ho voglia di smettere! Sarà preoccupante? Poca responsabilità è una brutta malattia. Ma a questa domanda una sola risposta:
CHI SE NE FREGA?!

Ed ecco il punto della situazione finora... Come, non ho detto niente in fin dei conti? Va be', lo ripeto... Chi se ne frega? 8D

Vostro,
Bender
Seppho
Fra
Oh stronzo la birra è la mia!
Zoro

sabato 31 maggio 2008

E pure è bello così...

- We, Nico... ci vediamo...
Non mi caga...
- Ciao Nico, ascoltami invece di prendere a cazzotti il palo della luce!
Niente...
- Nico, io sto andando...
Altri paccheri in barba al servizio di illuminazione pubblica...
- Nicola, ti sto salutando...
E che cazzo, manco si gira...
[gridando] - Nicò, mammt!
Si gira Ivo, incazzato...
- Ah, scusa Ivo.

sabato 17 maggio 2008

Scatola a forma di cuore

She eyes me like a pisces when I am weak
I've been locked inside your Heart Shaped box, for weeks
I've been drawn into your magnet tar pit trap
I wish I could eat your cancer when you turn black

Hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
hey
wait
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
Hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice

...your advice

Meat-eating orchids forgive no one just yet
Cut myself on Angel Hair and baby's breath
Broken hymen of your highness I'm left black
Throw down your umbilical noose so I can climb right back

Hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
Hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
...Your advice

*...e vai di chitarra... *

She eyes me like a pisces when I am weak
I've been locked inside your Heart-Shaped box for weeks
I've been drawn into your magnet tar pit trap
I wish I could Eat your cancer when you turn black

Hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
hey!
wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
Hey!
Wait!
I've got a new complaint
Forever in debt to your priceless advice
Your advice
Your advice
Your advice

giovedì 8 maggio 2008

Tormento

- "E' il 'tormento'. E' quello che porta tutte le anime tormentate verso di te."

Dapprima Morte. Un teschio fluttuante, estratto direttamente dall'Abisso, da cui convinse una tua precedente incarnazione a tirarlo fuori facendoti credere che sapesse cose di vitale importanza. E che ha continuato a seguire ogni tua incarnazione qualunque cosa essa facesse. Il senso di colpa per averti ingannato era il suo tormento, e ti ha seguito per espiare.
Poi Dak'kon, il Ghitzerai. Per cui tu, o una tua precedente incarnazione, diventasti colui che lo salvò dall'annichilimento dopo aver perso la fede - o tutta la sua volontà di strisciare fuori dal caos cosmico. Ma lo ingannasti, soltanto perché ti serviva. Gli desti ciò in cui credere. E lui continuò a seguirti nel tempo, nonostante tu fossi cambiato totalmente, divenuto un'altra persona. Semplicemente perché eri stato colui ad aver placato il suo "tormento". E paradossalmente questo divenne il suo tormento.
Annah. La thiefling, che rapidamente ha ceduto alle sue passioni. Ti seguiva perché attratta - in tutti i sensi - da te. A prescindere che tu ricambiassi o meno i suoi sentimenti, la sua anima si struggeva per te. E questo era il suo tormento.
E venne Ignus. Tu, in un altra vita, fosti il suo maestro. Gli insegnasti l'Arte, il Potere che lo carruppe fino in fondo. E ciò che lo consumò dal profondo. E ne causò il declino. E poi lo salvasti, salvasti il suo guscio incenerito da una bruciante follia, e che ti seguì perché tu eri il suo Maestro. Ti ricordasti di lui - povero supplicante al tuo cospetto perché gli permettersi di averti come Maestro - e lo trascinasti con te. Ma fu lui a seguirti, perché la sua follia era il suo tormento, e non poteva fare altro.
Incontrasti Far-from-Grace, la splendida succube. Per secoli schiava di demoni da lei dissimili e affrancatasi grazie alla sua oratoria. Lei ti seguiva perché eri interessante. Perché era suo volere conoscere le più emozionanti situazioni, e con te ne avrebbe trovate. Oh, se ne avrebbe! Diventasti parte del suo mondo, arrivando ad essere così importante da dare la vita per te. Ma il suo passato le pesava ancora, ed il suo nome diceva tutto. Seguirti era allontanarsi da quello che in realtà era. Dal suo tormento.
Per caso, ci fu Vhailor. L'impersonificazione della Legge. Ciò che non era giusto doveva essere punito, per lui. Fino a raggiungere il parossismo. Era il tuo più spietato inseguitore, e lo lasciasti - o per meglio dire, una tua incarnazione - lo lasciò in un luogo irraggiungibile ed inevadibile, ad aspettare il tuo ritorno, affinché potesse giudicare le tue azioni. E lo reincontrasti secoli dopo, il suo corpo consumato ma la sua anima forte come non mai, per giudicarti. Ma tu avevi dimenticato, e l'oblio della mente fu la tua espiazione. Ma lui decise di seguirti per portare la Legge dove meno ce ne fosse bisogno. Brutta cosa il parossismo. Ti seguiva comuqneu per giudicarti o per giudicare il mondo? Il giudizio era il suo tormento.
E, sempre per caso, incontrasti Nodrom. I Mordon sono esseri viventi derivati dalle macchine, una sorta di robot. Ma pur sempre esseri viventi. Ma pur sempre delle macchine, e la loro logica era schematica e macchinistica. Ma lui fu contaminato dal Caos, e divenne incompleto. O più "umano". Gli chiedesti di unirsi a te, per caso. Era esuberante e divertente, nonostante la sua logica - un tempo ineccepibile - fosse adesso deviata. Divenne un modo di riflettere sulla copntingenza, senza essere al contempo pesante. Ma era sempre incompleto, e si portò dietro questo tormento fino alla fine.
Ed il Nameless One. Eri senza nome, perché avere un nome significava essere. E tu eri quanto di più lontano ci fosse dall'essenza. Diviso a causa della tua immortalità, condannato alla dimenticanza del tuo passato a causa della morte che non potevi mai avere. Sei stato molte persone, dal carattere più dissimile. Paranoia, praticismo, bontà, neutralità. In ogni tua incarnazione eri differente eppure sempre lo stesso. E cercavi di scoprire perché tu fossi quello che sei, chi ti aveva privato della tua mortalità, come ti eri ingegnato per scoprire chi fossi, fin dove ti avessero condotto i sentieri di tutte le vite che avevi vissuto, perché la tua prima incarnazione avesse voluto divenire immortale. Vivevi la tua vita per scoprire quello che gli altri te stesso avevano fatto. Il tuo tormento era quello di capire come il tormento avesse condizionato tutto quello che eri stato, senza mai esserlo in prima persona. Il tuo tormento era capire cosa volevi da tutto ciò. Il tuo tormento era morire, per sempre.
Ognuno di questi porta il suo tormento: quello morale, che genera il senso di colpa; quello della volontà, che ci impone di capire; quello delle emozioni, che ci rende irrazionali; quello della follia, i cui semi sono in ognuno di noi; quello del rimpianto, che ci impone di dimenticare ciò che di sbagliato abbiamo fatto; quello della giustizia, che ci fa chiedere cosa sia davvero giusto, per noi o per gli altri; quello della diversità, che ci fa domandare quanto l'essere diverso dalla normalità sia un errore; e tutti questi tormenti hanno a che fare con te, e ne vengono riuniti dai tuoi. Perché il tormento chiama altro tormento.

lunedì 5 maggio 2008

Harvard by night

- Su, su Ics... Domani devi lavorare...
- Hic, no ma ti dicevo... questa per poco stavo a sposarla quando due minuti prima che potessi farle la proposta mi dice che ha una cotta per il mio migliore amico...
- Eh, succede... dai... dormi...
- Non ho sonno... Hic... potrò andare avanti fino a doma.. Zzzz...
Il russare di Ics fece sospirare Montgomery. Finalmente il bidello si era addormentato... era a questo che mirava quando l'aveva portato in quel pub e gli aveva offerto da bere. E finalmente poteva agire. Con una rapida occhiata al sudicio monolocale trovò le chiavi di Harvard, le mise in tasca ed uscì. Telefonò a Foscari - il suo affittuario/compagno d'avventura - e si diedero appuntameno dopo mezz'ora davanti il cancello della prestigiosa università.

La decappottabile frenò non molto distante dal parcheggio dell'università. Una figura vi si avvicinò.
- Finalmente - disse Foscari.
- Chi va piano va sano e va lontano - rispose Montgomery, saltando giù dalla decappottabile sul grigio asfalto. - Allora, dovremmo entrare... i custodi sono pochi e fanno giri larghi, sarà facile superarli.
- Non mi fido, meglio che entri utilizzando i miei poteri.
Montgomery riflettè. Come lui poteva piegare il tempo al suo volere (seppur in maniera limitata - ancora limitata -) Foscari aveva lo stesso talento per lo spazio. Avrebbe collegato il luogo di destinazione e quello di partenza per creare un passaggio. Un portale, come lo avrebbero chiamato i poveri mortali. O quello che era...
- Come vuoi. Mi raccomando, il tuo passamontagna... - Indossò il suo e sparì verso il cancello dell'università.
Scavalcarlo non fu un problema. Si recò attraversando il vasto giardino verso il dipartimento di medicina. Due guardie erano lì che parlavano. Attese pazientemente che si allontanassero per continuare il loro giro e corse verso la porta. Estrasse la chiave dal mazzo e la aprì, richiudendosela oltre le sue spalle, e si recò verso la scalinata dove Foscari avrebbe dovuto aprire il portale. Lo trovò già lì, lo squarcio dimensionale che pulsava.
- Alla buon ora... - sorrise Foscari.
- Silenzio ed andiamo - rispose Montgomery, un po' scocciato.

Cominciarono a salire lentamente le scale verso gli studi dei professori immersi nel silenzio del dipartimento deserto. Ad un tratto si sentì aprire la porta d'ingresso. I due si fermarono e cercarono un posto in cui acquattarsi. Montgomery si accovacciò nell'angolo, mentre Foscari si inguattò tra una macchinetta per il caffè ed una colonna, con espressione tra lo spaventato e lo stoccafisso. La guardia stava dando una rapida occhiata all'interno, Montgomery vedeva il circolo di luce emanato dalla torcia elettrica che indugiava su ogni centimetro del pavimento variopinto. La luce stava per toccare i piedi di Foscari, Montgomery estrasse la pistola con il silenziatore e si preparò a mirare. La guardia fermò la torcia a dieci centimetri dalla punta delle scarpe nere di Foscari. Si voltò alzando le spalle e uscì fuori da dove era venuta. Foscari tirò un sospiro di sollievo, Montgomery nascose la sua pistola. Fece segno a Foscari di raggiungerlo e si recarono verso lo studio. La porta era chiusa, se lo erano aspettati. Quello che non si aspettavano era trovare la chiave della stanza tra il mazzo che aveva preso ad Ics. Montgomery aprì rapidamente la porta ed entrarono, poi la richiuse dietro di sè.

Lo studio era in disordine, il tipico caos ordinato che caratterizzava gli scienzati, i giuristi ed i medici.
- Sarà una lunga ricerca - sospirò Foscari. Montgomery si era già avvicinato ad un archivio e stava per spulciarlo.
- Tu che sei un hacker patentato, occupati del computer - Montgomery indicò il terminale nell'angolo. Foscari gli si avvicinò e cominciò a cercare la password di accesso.

- Che razza di password... Cthulhuftagn... sembrano lettere messe a caso. - disse Foscari.
Montgomery non potè fare a meno di rabbrividire. Visioni aliene si accavallavano nella sua mente, ma riuscì a reprimerle e continuò a cercare.
- Ci siamo... una lista di tutti i volontari per gli esperimenti - Montgomery sollevò il fascicolo. - Hai avuto l'accesso ai dati?
- Ci sono riuscito proprio ora - sorrise Foscari. Si accigliò subito. - Abbiamo un problema... sono 500 giga di roba da spulciare... mi converrebbe fare un backup... avrei dovuto portare l'hard disk portatile... invece mi toccherà esaminare il disco cluster per cluster...
- Quanto ci vorrà? Non abbiamo tutta la notte. - Controllò l'orologio... le 3 e mezza.
- Temo molto, 500 giga sono tanti... almeno 4 o 5 ore.
- Non abbiamo tutto questo tempo, trova qualche altro metodo... tu dovevi occuparti della parte informatica, quindi vedi di sbrigarti - si irritò Montgomery.
Foscari prese il cellulare. Compose un numero.
- E ora che fai??! - si stupì Montgomery.
- Lascia fare, conosco qualcuno che potrebbe darci una mano.
Montgomery alzò le spalle, sospirò e continuò la sua ricerca.

- Ho trovato la lista degli studenti che si sono offerti come volontari. E qui c'è anche la struttura molecolare della droga. - disse soddisfatto Montgomery. Guardò l'ora. - Sono le 5 e 20... tra poco il posto si riempirà. A che punto sei?
- Quasi finito...
Alle 6 e 20, trionfante, Foscari si alzò dalla scrivania. Scollegò i cavi, ripose il suo computer e fu pronto a togliere le tende. - Si è fatto tardi, penso che i primi bidelli siano già in zona. Dobbiamo cercare un posto nascosto in cui nessuno possa vederci. - pensò un attimo. - Il bagno, se non sbaglio è qui vicino.
- Va bene, sbrighiamoci.

Cautamente entrarono nel bagno senza problemi e si nascosero in due gabinetti separati. Foscari cercò di riaprire il portale, con scarsi risultati, per almeno 20 minuti. Montgomery stava già dormendo quando un'inserviente entrò nel bagno. Il rumore dei suoi passi lo svegliò e gli fece prendere coscienza di quello che stava accadendo. Mentre la donna canticchiava qualche vecchia canzone popolare austriaca, Montgomery pensò al da farsi. E decise. Uscì dal bagno.
- Buongiorno - salutò allegramente, e si diresse verso un lavandino per lavarsi le mani.
La vecchia lo guardò esterefatto. - Lei! Che ci fa qui?!
- Sono uno studente, che diamine...
- A quest'ora gli studenti non hanno accesso alla facoltà...
- Ah... be', ecco... vede... ieri il Signor Ics ha dimenticato le chiavi della facoltànella mia macchina ed ero arrivato un po' prima per restituirgliele... Sa... non volevo che si sapesse in giro, povero Signor Ics.
- Ma le sembra il modo di fare?! - Rispose seccata la bidella - Vada a riportargli le chiavi, comunque - e sospirò.
Montgomery pensò a Foscari, ancora nel gabinetto, e cercò di escogitare un modo per allontanare la vecchiarda. - Ehm, vede, non so dove trovarlo e se magari lei potesse darmi qualche indicazione ne sarei... - La frase restò a metà, interrotta da un tonfo proveniente dal bagno dove si era nascosto Foscari.
- Ma che...?! - Si stupì la vecchia. - Cos'è stato?
- Magari un topo? - Provò Montgomery. La vecchia stava già aprendo la porta del gabinetto. Trovò Foscari aggrappato alla parete che cercava di issarsi oltre essa per introdursi nel gabinetto limitrofo. Naturalmente indossava ancora il passamontagna.
La vecchia emise un urlo, Montgomery si affrettò a chiudere dall'interno la porta del bagno.
- Signora, non è come sembra... - Cominciò Foscari.
- Al ladro!! Al ladro! - continuò a gridare la vecchia. Montgomery si pose davanti ad essa e cercò di tranquillizzarla.
- Signora, vede, stia calma, è tutto a posto...
- E cosa ci fa un uomo con il passamontagna nascosto nel bagno??!!!
- Ehm, vede... insomma... - Montgomery chiuse per un attimo gli occhi, esasperato e sospirò - vede... lui è il mio ragazzo. - disse l'ultima frase tutta d'un fiato. La vecchia lo guardò con occhi sgranati. Poi disse - Perché indossa il passamontagna?!
Montgomery sospirò di nuovo. - Ci eccita.
La vecchia li guardò inorriditi, immobile. I due pieni di vergogna uscirono dal bagno e ritornarono nel corridoio.

- Ics, hai dimenticato le chiavi in macchina mia. - Montgomery gli lanciò il mazzo di chiavi. Foscari, che era al suo fianco, seguì la parabola che la traiettoria descrisse fino a cadere in mano al bidello.
- Ah ecco dov'era... Ma io non le avevo portate con me... - Si stupì Ics.
- Bho, io le ho trovate in macchina.
- Be', grazie Monty...
In quell'istante la vecchia bidella incontrata nei bagni passò vicino loro, guardandoli obliqua. Montgomery e Foscari ricambiarono lo sguardo astioso, quello di Ics era solo interrogativo.
- Pervertiti! - Gridò la vecchia, e scappò via. Montgomery e Foscari sospirarono, all'unisono.

domenica 27 aprile 2008

Arriva Morfeo

Week end da paura...
Venerdì, concerto dei Linea, con l'onnipresente Claudio e quella stronza di Adriana...
Sabato, cazzeggio per il Comicon, partita a calcetto con triplice carpiato annesso e serata al Blue Kiss, metallo e pogo a manetta assieme al mecgaiveristico Giovanni (l'unico che io abbia mai visto portare in macchina la strumentazione tattica per una catastrofe post-apocalittica, stile zaino di Eta-Beta, con la quale ha evitato il pronto soccorso ad un ragazzo gravemente (?) ferito alla testa durante il pogo selvaggio), all'onnipresente (l'ho già detto?) Claudio e al tiratissimo Simone (mr. Gagliardo, è pregato di ricordarsi che senza il nostro supporto a quell'ora sarebbe stato a casa a dormire). Grandi i gruppi che hanno suonato, in particolare i Deus x Machina di cui ormai siamo diventati groupie (non nel senso che vorremmo sbatterceli, ma nel senso che siamo dovunque loro vadano...) ed i Menarca che hanno ravvivato la nostra serata a base di fumo e birra di seconda mano. Ed in particolare questi ultimi hanno suonato una canzone che da un po' mi ronzava in testa... ecco a voi l'intro del Black Album dei Metallica... Arriva Sandman...

Enter Sandman
di Metallica (1991)

Say your prayers little one
Dont forget, my son
To include everyone

Tuck you in, warm within
Keep you free from sin
Till the sandman he comes

Sleep with one eye open
Gripping your pillow tight

Exit light
Enter night
Take my hand
Off to never never land

Somethings wrong, shut the light
Heavy thoughts tonight
And they arent of snow white

Dreams of war, dreams of liars
Dreams of dragons fire
And of things that will bite

Sleep with one eye open
Gripping your pillow tight

Exit light
Enter night
Take my hand
Off to never never land

Now I lay me down to sleep
Pray the lord my soul to keep
If I die before I wake
Pray the lord my soul to take

Hush little baby, dont say a word
And never mind that noise you heard
Its just the beast under your bed,
In your closet, in your head

Exit light
Enter night
Grain of sand

Exit light
Enter night
Take my hand
We're off to never never land

Va be', per stavolta traduco...

Dì le tue preghiere piccolo
non dimenticare, figliolo
di menzionare tutti

Rimboccati le copere, il caldo lì dentro
ti terrà al sicuro dai peccati
finché Morfeo arriverà

Dormi con un occhio aperto
abbracciando stretto il tuo cuscino

Va via la luce
arriva la notte
afferra la mia mano
fino alle Terre del Sogno

Qualcosa di sbagliato spegni la luce
pesanti pensieri stanotte
che non sono candidi come la neve

Sogni di guerra, sogni di menzogne
sogni del fuoco di drago
e di cose che mordono...

Dormi con un occhio aperto
abbracciando stretto il tuo cuscino

Va via la luce
arriva la notte
afferra la mia mano
fino alle Terre del Sogno

Ora adagiami nel sonno
prega il Signore di custodire la mia anima
se morissi prima di svegliarmi
prega il Signore di prendere la mia anima

Fa' silenzio mio bambino, non dire una parola
e non pensare ai rumori che senti
è solo la bestia sotto il tuo letto,
nel tuo armadio, nella tua mente

Va via la luce
arriva la notte
granelli di Sabbia

Va via la luce
arriva la notte
afferra la mia mano
siamo nelle Terre del Sogno

L'intera canzone riprende il personaggio di Sandman, fumetto (in questo caso opera d'arte, anche se le due cose spesso coincidono ma pochi lo ammettono) di Neil Gaiman, Signore dei Sogni (e mi riferisco sia al personaggio che all'autore), e pertanto mi sembra d'obbligo chiudere il tutto con una frase tratta da esso:

- E' tutto vero? O è solo frutto della mia immaginazione?
- Se mi dici la differenza, forse posso risponderti...

E questo è tutto... buonanotte da Bender, e...
Sogni d'oro!

sabato 19 aprile 2008

Requiem

Ogni giorno si incontrano centinaia di pesone. Statisticamente, solo con il 10% di queste si hanno contatti. E solo con il 10% di questo 10% si avrà un rapporto duraturo. Premesso che non so nemmeno io in quale di queste percentuali considerare la persona che ci ha lasciato, la sua prematura scomparsa mi dispiace tremendamente. Non è un modo per porgere le condoglianze ai parenti, nonostante non abbia avuto modo di presenziare al funerale per cause varie... la notizia mi ha scioccato davvero. Ho avuto modo di parlare poche volte con lei, molte delle quali affatto serie, e ancor meno ho avuto modo di incrociarla dopo che abbandonai il gruppo di cui lei faceva parte e io avrei volentieri voluto farne. Tutto questo mi lascia l'amaro in bocca, non tanto per la morte in sè (la morte è solo la conclusione della vita, e prima o poi deve arrivare... questo lo si accetta facilmente) ma perché ci sono infinite cose che si imparano, si fanno e si provano a sedici anni. Si matura in un certo senso, e non poter vedere come sarebbero cambiate le cose ti abbatte.
Ricordo le parole di Simone quando me lo disse "...non ce l'ha fatta." e quello che pensai (e forse risposi) in quel momento: "Cazzo.". Non la conoscevo molto (forse per nulla), però forse proprio la morte di persone di cui non sapevi molto ti deprime perché non hai avuto il tempo (o la voglia, o la forza) di conoscerle... sapevo che adorava i Guns 'n' Roses (e ringrazio Simone per avermelo riportato alla memoria) e che la loro maglia adesso riposa con lei. Ed in quel momento ho pensato che stava andando anche lei a Paradise City (e ringrazio di nuovo Simone di aver detto che anche lui la pensava così e di avermi dato in un certo qual modo la forza di scrivere questo post) e che meritava un ultimo saluto. Ed a lei dedico questa canzone: addio, Federica.

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

Just an urchin livin' under the street
I'm a hard case that's tough to beat
I'm your charity case
So buy me somethin' to eat
I'll pay you at another time
Take it to the end of the line

Rags to riches
Or so they say
You gotta
Keep pushin' for the fortune and fame
You know it's, it's all a gamble
When it's just a game
You treat it like a capitol crime
Everybody's doin' their time

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home

Strapped in the chair of the city's gas chamber
Why I'm here, I can't quite remember
The surgoen general say's it's hazardous to breathe
I'd have another cigarette
But I can't see
Tell me who you're gonna believe

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home, yeah hey eyeah
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

So far away
So far away
So far away
So far away

Capitain America's been torn apart
Now he's a court jester
With a broken heart
He said turn me around
And take me back to the start
I must be losing my mind
"Are you blind?!"
I've seen it all a million times

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home, yeah hey eyeah
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home, yeah hey eyeah
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

I want to go
I want to know
Oh, won't you please take me home

I want to see
Oh, look at me
Oh, won't you please take me home

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home,
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

Take me down
Oh yeah
Beat me down
Oh, won't you please take me home

I want to see
Oh, look at me
Oh, won't you please take me home

I want to see
Boy, I'm gonna be mean
Oh, oh take me home

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

I want to go
I want to know
Oh, won't you please take me hooooooome
Baby

P.S.: questo post vuole solo essere l'estremo saluto ad una persona con cui si è diviso la stessa comitiva. Se ha fatto male a qualcuno, mi dispiace, non era mia intenzione.

sabato 12 aprile 2008

These are the days of our lives

I Queen. Hanno fatto tanto. Hanno scritto tanto. Hanno suonato tanto. Ma gran parte di questo resta in noi. Una canzone ritrovata per caso, che ti fa pensare. Alla tua vita, a quello che hai fatto, a dove sei. A come vorresti riportare, per un attimo, il tempo indietro e rivivere le cose che hai vissuto. E l'impotenza di farlo diventa nostalgia. E ripensi ai Queen. E alla voce di Freddie che canta questa canzone...

Sometimes I get to feelin
I was back in the old days - long ago
When we were kids when we were young
Thing seemed so perfect - you know
The days were endless we were crazy we were young
The sun was always shinin - we just lived for fun
Sometimes it seems like lately - I just dont know
The rest of my lifes been just a show

A volte mi sembra di sentire
che sia tornato indietro ai vecchi tempi - tanto tempo fa
quando eravamo ragazzi quando eravamo giovani
le cose sembravano così perfette - lo sai
i giorni erano infiniti eravamo folli eravamo giovani
il Sole risplendeva sempre - vivevamo solo per divertirci
a volte mi sembra che alla fine - semplicemente non so
il resto della mia vita è stato solo uno spettacolo

Those were the days of our lives
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one thing is true
When I look and I find I still love you

Questi erano i giorni delle nostre vite
le cose brutte nella vita erano così poche
questi giorni sono tutti passati adesso ma una cosa è vera
quando guardo e trovo, ti amo ancora

You cant turn back the clock you cant turn back the tide
Aint that a shame
Id like to go back one time on a roller coaster ride
When life was just a game
No use in sitting and thinkin on what you did
When you can lay back and enjoy it through your kids
Sometimes it seems like lately - I just dont know
Better sit back and go with the flow

Non puoi portare indietro l'orologio non puoi portare indietro la marea
questa non è una vergogna
avrei voluto tornare indietro ad un giro su una montagna russa
quando la vita era solo un gioco
non ha senso sedersi e pensare a cosa hai fatto
quando potresti tornare indietro e godertelo attraverso i tuoi bambini
a volte sembra che alla fine - semplicemente non lo so
sia meglio sedersi ed andare con il flusso

Cos these are the days of our lives
Theyve flown in the swiftness of time
These days are all gone now but some things remain
When I look and I find no change

Perché questi sono i giorni delle nostre vita
sono passate nella rapidità del tempo
questi giorni sono tutti passati adesso ma alcune cose rimangono
quando osservo e vedo che niente è cambiato

Those were the days of our lives - yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one things still true
When I look and I find
I still love you

Questi sono i giorni delle nostre vite- yeah
le brutte cose nella vita sembravano così poche
questi giorni sono tutti andati ora ma una cosa è ancora vera
quando osservo e trovo
ti amo ancora

Freddie ci lasciò poco dopo questa canzone. Ed è un peccato, ma questo si sa.
Ma la canzone in se è di tutti. O almeno di tutti quelli che si sono fermati un secondo ed hanno pensato a come è stata la loro vita fino a quel momento. Perché non si può tornare indietro, anche se un periodo è brutto non potrete fare a meno poi di sorridere e di ripensarvici come una delle vostre vicissitudini. Forse mi sto facendo prendere molto dalla nostalgia, ma sembra vada di moda di questi tempi ;) ma va bene, l'importante è non fermarsi troppo a pensare al passato e costruire sempre qualcosa di nuovo... doppotutto ogni giorno è diverso da quello precedente, e...
These are the das of our lives.
Un saluto da Bender!

giovedì 10 aprile 2008

Due anni buttati... la fine...

Montgomery osservava la sua pinta di scura. Seguiva incantato le traiettorie delle bollicine che salivano fino all'orlo e sparivano. Gli sembrava che anche la birra stesse guardando lui. Una sorta di tacito duello, l'uomo contro il malto fermentato.
- ...e così ho preferito rimanere all'università, se non come studente da inserviente. L'ambiente mi piace, ormai non potrei più farne a meno. - Ics bevve una nuova sorsata della sua bionda. Montgomery si rese di nuovo conto di non essere da solo e decise di abbandonare lo scontro con la sua pinta. Portò l'orlo del bicchiere alle labbra, e trasse un sorso pacificatore.
- Dove hai detto di avere studiato? - disse Ics subito dopo aver posato il suo bicchiere.
- Miskatonic. Arkham. - Rispose Montgomery.
Ics lo guardò e sorrise. - Bella battuta! No, dai, sul serio...
Montgomery sembrò perplesso. - Come sul serio?
- Dai su, non prendermi in giro - altra risata.
- La Miskatonic University di Arkham. Che c'è di strano?
Ics lo guardò preoccupato. - Leggi troppi racconti dell'orrore, ragazzo. Be', piacciono anche a me, dopotutto. - una breve risata. - Allora? Mi dici dove hai studiato? Dai, su, davvero...
- Ho detto alla Miskatonic! - Montgomery stava cominciando ad irritarsi - si trova qui vicino, ad Arkham. Sono pochi chilometri.
- Arkham è un posto inventato... - Ics lo guardò seriamente.
- Smettila... - esitò un attimo - ci ho studiato. Ho studiato alla Miskatonic di Arkham!
- Si, va bene. Ci rinuncio. - Ics si voltò - Cameriera un'altra.
- Anche per me, dolcezza - ne ordinò una anche Montgomery.
Il resto della serata proseguì tra chiacchiere e visioni del mondo. Non toccarono il delicato argomento Arkham.

- Serata piacevole, ragazzo. Era da tanto che non lo facevo. - Ics scese dalla decappottabile.
- Si, per me è stato un onore parlare con un dottore laureatosi ad Harvard. - sorrise.
I due si salutarono. Montgomery si avviò, pensieroso. Dopotutto nessuno mostrava di conoscere la sua università, nonostante si trovasse cos' vicino a Boston. In effetti, non aveva mai visto altri studenti che provenissero dalla stessa università. E se il vecchio avesse detto il vero? Controllò l'orologio. Mezzanotte e un quarto. Domani avrebbe avuto lezione, ma in quel momento aveva bisogno di controllare una cosa. La sua sicurezza stava vacillando. Il motore rombò non appena girò la chiave. La macchina partì, sgommando.

La statale proseguiva. Mancava poco all'uscita per Arkham. Svoltò su una stradina secondaria che proseguiva verso nord, ricordandosi dove avrebbe dovuto svoltare ancora, subito dopo la stazione di servizio di Larry. I fari della macchina emanavano sinistri aloni nella nebbia che vorticava per la strada. Era umido, ma non freddo, e questo favoriva i banchi di nebbia a discapito della visibilità.
Scorse in lontananza la stazione di servizio. Due distributori di fronte ad un piccolo fabbricato di legno e ruggine. Rallentò, perplesso, non appena vide l'insegna. Penzolava appesa al palo. Mosse lo sguardo ai distributori. Erba e rampicanti ne avevano preso possesso, e chissà da quanto non venivano utilizzati. La porta, scardinata cigolava, la serratura ormai corrosa dalla ruggine, il vetro superiore il frantumi. Possibile che Larry avesse abbandonato il posto? Lo ricordava come un vecchio serio e composto, piuttosto taciturno. Forse un po' troppo chiuso di vedute. Be', il Vietnam l'aveva cambiato. Aveva cambiato tutti, suo padre continuava a ripeterlo. Riportò i suoi pensieri alla stazione. Da quanto mancava in quel luogo? Una decina d'anni. In dieci anni, pensò, guarda cosa può combinare il tempo. Proseguì sulla piccola stradina per un paio di chilometri, aspettando di intravedere lo svincolo. Non lo vide. Accostò, pensieroso. Si, si era sbagliato, non c'era alternativa. Aveva preso qualche strada sbagliata. No, era sicuro che fosse la strada giusta. E sarebbe praticamente dovuto già essere in città. Scese dalla macchina e si avvicinò alla vasta prateria che scorgeva di fronte. Brancolò per una mezz'ora avanti ed indietro, scrutando in cerca di luci e villaggi nella zona. Nulla.
Cominciò a rabbrividire. Lui c'era stato, lo sapeva. Aveva frequentato all'università, uno splendido campus nel mezzo della città, ricordava il complesso, la biblioteca, i due dormitori. Ricordava il Garden Cafè, giusto fuori il complesso, in cui quando non gli andava di seguire si recava assieme al suo compagno di stanza, Harvey Walters, per assaggiare un ottimo caffè, forse il migliore della città. Harvey, chissà che fine aveva fatto. Aveva riempito fin da subito la sua camera di libri, ed agli inizi lui l'aveva creduto un secchione che non sapeva come divertirsi. Invece l'apparenza l'aveva ingannato, ed aveva scoperto subito che anche ad Harvey i festini non dispiacevano. Bei tempi quelli dei festini. Invitavano tutti gli studenti del dormitorio nel loro corridoio e schiamazzavano per tutta la notte. Peccato non ci fossero studentesse. Riflettè un attimo.
Studentesse. Montgomery ricordava che i dormitori fossero due. Ma nessuno dei due era femminile. Gli venne un dubbio. Aveva già sentito parlare di Lovecraft. Era vissuto attorno alla prima metà del 900. In quel periodo non tutte le università erano aperte alle donne. Ma l'emancipazione completa era di molto precedente gli anni in cui aveva frequentato. Non era possibile che la Miskatonic fosse un'università solo maschile. Non con le donne che si vedevano in giro negli ultimi tempi. Avrebbero crocefisso al contrario qualunque uomo cercasse di trattenerle dall'emanciparsi. Il pensiero lo fece ridacchiare. Poi si fermò. Si fece serio. Lovecraft. Lui aveva scritto di Arkham. Ricordò di aver letto qualche suo racconto. Era possibile che avesse preso spunto da quelle storie per creare una realtà partorita dalle fantasie di qualcun altro? Rabbrividì al pensiero. Lui non era mai stato alla Miskatonic. Ma allora come era possibile che conoscesse qualche principio di medicina? Anche ad Arkham lo avevano affermato. Per un attimo la sua sicurezza venne meno. Fu sostituita da un senso di orrore, che si annidò al suo stomaco. Ma il suo cervello continuava a cercare di comprendere. Ritornò alla macchina. Frugò nel bagagliaio. Johnnie Walker. Whisky scozzese, che preferiva a quello americano. Diede una lunga sorsata e si accomodò sul sedile del proprio veicolo. Continuò a bere.

Il rumore di un cancello che sbatteva lo svegliò. Si stiracchiò e guardò il sedile al suo fianco. La bottiglia era vuota. Dio, quanto aveva bevuto? Guardò l'orologio. Le 3 e 25. Era tardi. Sbadigliò e fece per mettere in moto il veicolo. Attraverso il parabrezza vide un cancello. Si guardò intorno, esterrefatto. Era all'incrocio tra Coolidge e College Street. Riusciva a scorgere il complesso universitario, dove il cancello semiaperto sbatteva al vento. Scese dalla macchina. Sorrise. Era ad Arkham. Allora esisteva, non si era sbagliato. Nuovo entusiasmo lo percorse, misto ad un pizzico di nostagia, nel rivedere i luoghi della sua tarda giovinezza. Il museo, la banca, il Garden's Cafè... erano tutti chiusi - vorrei ben vedere - pensò - è notte fonda.
Il rumore del cancello attirò ancora la sua attenzione. Perché no? Una visita al campus non gli avrebbe fatto male. Superò l'ingresso e passeggiò per il giardino. Vide l'ala Est del dormitorio. La nostalgia lo spinse ad entrare nell'edificio. L'ingresso era chiuso, ma se non ricordava male... da sotto lo zerbino estrasse la chiave ed aprì la porta. In silenzio si avviò al terzo piano. Ricordava in fondo al corridoio camera sua... chissà se era occupata? Fece per avvicinarsi, ma passando accanto ad una finestra sentì un rumore provenire da fuori. Una macchina d'epoca, molto vecchia, avrebbe detto intorno agli anni 30, passò per la strada silenziosa. Anni 30? Sorrise... ah, le coincidenze. Il suo sguardo cadde sul tavolino posto vicino il pianerottolo accanto alla sua vecchia camera. E sbiancò. La data era 17 Dicembre 1926. Com'era possibile? Provò ad usare i suoi poteri sul giornale, per capire cosa fosse successo. Per capire come mai il Tempo non era più quello di una volta. Si fermò all'improvviso. La sua stanza. Forse con i suoi poteri avrebbe capito cosa era accaduto. Si concentrò con tutto se stesso per alterare il destino. Poteva manipolarlo, lo sapeva, per fare in modo che un piccolo colpo di fortuna lo aiutasse. Girò il pomello. La porta era aperta. Si erano dimenticati di chiuderla. Mestamente, sorrise, ed entrò.

La stanza era buia. Cercò a tentoni l'interruttore. Se non ricordava male doveva seguire il piccolo corridoietto e sarebbe arrivato alla lampada. Continuò a camminare tenendo una mano sulla parete, nel buio, per diversi minuti. Ma era davvero così grande la camera? Tastò qualcosa sulla parete. L'interruttore. Lo azionò. Una fioca luce si accese di fronte a lui. Vide un'altra porta. Di legno massiccio, piuttosto consumata. Alla luce delle lampade risaltava un simbolo verniciato di rosso sulla porta. Una specie di stella, molto stilizzata, con un occhio piuttosto strano nel mezzo. La pupilla continuava innaturalmente verso l'alto, così che desse l'impressione di una fiamma. Era sicuro che la sua stanza fosse più avanti. Forse il corridoio c'era sempre stato. Solo non lo ricordava. Spalancò la porta. Fu risucchiato dentro.
Davanti a se c'era un immenso bulbo oculare, le vene grandi quanto un grattacielo confluivano nella pupilla rossa da tutta la circonferenza. Tentacoli, come dei una corona si agitavano frenetici attorno al bulbo. Braccia di creature orrende si riversavano fuori dalla massa di carne e zanne che occupava tutto lo spazio e da cui sembrava che l'occhio traesse origine e nel contempo che la massa purulenta fosse generata da esso. La scena per un attimo, forse uno degli ultimi attimi di sanità della sua mente, gli dava l'impressione di un grottesco cielo di terrore in cui splendeva un macabro sole di cui i tentacoli erano i raggi e l'occhio la sua materia. Fissò la pupilla. Riluceva di follia ed ira; non c'era intelligenza in essa, non c'era raziocinio. La forma fisica della distruzione. E lui era in caduta libera verso di essa. Non resse ulteriormente. Quello che vide in seguito furono gli orrori che mai aveva visto nemmeno nei suoi incubi peggiori. Si trovava d'improvviso in un'immensa pianura, il profilo delle montagne all'orizzonte era alieno e terribile. In lontananza, un immensa creatura sferica, un mondo di tentacoli, bocche fameliche, pseudopodi volava nel cielo. Gigantesche creature simili a vermi con una grossa bocca ricoperta di zanne straziavano il suolo della pianura. Da oltre l'orizzonte sorse un'immensa figura, un'essere dalle fattezze umanoidi, con enormi ali e il volto di un polpo. Gli si avvicinò un essere umano. Piuttosto alto di statura, aveva la carnagione piuttosto scura, tra il bruno e l'olivastro, ed una barba che ricordava quella di una sfinge. Montgomery si gettò ai suoi piedi, piangendo ed implorando. L'uomo crebbe in statura, fino a diventare un immenso essere ricoperto di scaglie nere, tripode, che al posto del volto aveva un grosso tentacolo ricoperto di bocche fameliche. Con una delle braccia artigliate lo afferrò e lo divorò.

Il cellulare lo svegliò. Si tastò il corpo. Era sudato, ma vivo. Gli faceva male la testa. Rispose al telefono.
- P...pronto?
- Shogun, dove diavolo sei?? E' tutta la mattinata che ti cerco! - la voce di Morpheus, il suo mentore, che gli aveva insegnato ciò che c'era bisogno di sapere sui Risvegliati.
- Sono, fuori città... tornerò a breve...
- Come va ad Harvard? Come procede il piano?
- Bene... oggi ho intenzione di attuarlo.
- Perfetto. Aspetto tue notizie per domani. - Morpheus attaccò il telefono. Montgomery controllò l'ora. Le 9 e 55. Morpheus aveva fatto i salti mortali per svegliarlo a quell'ora. Di solito il mentore dormiva fino al primo pomeriggio. Si guardò intorno. La città era sparita. Si rese conto finalmente che il luogo non esisteva. Avviò il motore, era ora di andare. Già, Arkham non esisteva. Ripensò al sogno, e rabbrividì. Per fortuna, era solo un sogno. Per fortuna.

EPILOGO

Era mezzogiorno passato quando Montgomery tornò a casa. Azionò il telecomando del cancello elettrico, che in tutta risposta si aprì, lasciandolo entrare. Scese dalla macchina e per un attimo guardò il "Putto che vomita", una scultura regalatagli di un'altra Risvegliata... si chiamava Aoi, l'aveva conosciuta insieme al marito Faustò. Ed un bel giorno si era presentata al bar interrompendo una partita a Black Jack tra lui e Morpheus e regalandogli la scultura, un inusuale accostamento tra il neoclassico, il pulp, il gusto scialbo di uno stilista neozelandese e il cassonetto dei rifiuti fuori casa sua, che ritraeva un simpatico putto che doveva decisamente avere alzato il gomito. Ripensò alla sera prima, anche lui aveva esagerato. E con tutto quello che aveva passato il giorno prima, non gli aveva fatto bene alla psiche. Entrò in casa. Salutò Foscari, il suo affittuario italiano, che era in cucina a prepararsi una spremuta di pompelmo. Lui in tutta risposta lo guardò fisso, boccheggiando.
- Vuoi dirmi qualcosa? - chiese Montgomery.
- Che hai fatto in testa? - continuava a guardarlo fisso.
Montgomery si girò e si guardò nello specchio. Un ciuffo dei suoi lunghi capelli castani gli pendeva davanti agli occhi. Per metà, a partire dalla radice, era diventato bianco.
- Come ti è successo? Cosa hai fatto ieri sera? - continuò Foscari.
- Lascia stare.- Estrasse un paio di forbici e tagliò la metà ancora colorata del ciuffo. - Non parliamone.

domenica 6 aprile 2008

Due anni buttati... Parte I

- Dove ha detto di aver studiato?
- Arkham... la facoltà di medicina della Miskatonic University...
Il professore del corso di Anatomia I guardò il suo interlocutore. Pochi minuti fa era arrivato con un'ora di ritardo alla sua lezione e con fare insolente aveva risposto a tutti i suoi rimproveri. Quasi si era meravigliato nel vederlo subito dopo chiedergli scusa per il suo ritardo e le sue irritanti risposte. Gli aveva risposto con cortesia, nonostante avesse già preso mentalmente nota di lui in modo da riservagli un trattamento particolareggiato all'esame. Ed ancora si era quasi di nuovo stupito alle risposte che gli aveva dato alle sue domande: denotavano particolare preparazione ed interesse alla materia. E per questo lui gli aveva chiesto se avesse già studiato in precedenza la materia. Miskatonic University... non l'aveva mai sentita. Arkham, nei pressi di Boston. Mai conosciuto un posto con un nome simile, e per giunta vicino la sua amata Harvard, dove insegnava ormai per 35 anni. Ma dimostrare ad uno studente ignoranza equivaleva a dimostrare che un professore era un essere umano. E lui non poteva permettersi che i suoi studenti lo ritenessero umano, o avrebbe buttato all'aria più di tre decenni di insegnamento.
- Ah, la Miskatonic... capisco. La sua formazione è buona, decisamente. La sua conoscenza dell'argomento è sufficiente a garantirle la promozione. Ma, mi raccomando, studi con costanza, mi seccherebbe darle una mera sufficienza.
- Certamente, professore. Non sono così presuntuoso da pretendere di ottenere un ottimo voto con le mie conoscenze attuali... approfitterò per approfondire ogni argomento. Ah, mi scusi, sta cominciando il prossimo corso, devo scappare.
- Vada, vada pure...
Il ragazzo (ragazzo? Gli avrebbe dato almeno una trentina d'anni) era molto promettente ed educato, oltre ad essere seriamente interessato alla materia. Bene, sarebbe stato un ottimo medico. Se avesse perseverato. Molti promettenti abbandonavano perché non riuscivano a reggere i ritmi di un college prestigioso come Harvard. Ma qualcosa gli diceva che lui avrebbe tenuto duro.
Con un ghigno ai lati della bocca, il professore si avviò verso il suo studio.

Montgomery si guardò intorno. Era appena in tempo per seguire il corso successivo, ma questo lo avrebbe distratto dal suo obiettivo primario. Alcuni professori stavano sperimentando droghe su degli studenti per scopi scientifici, questo era risaputo all'interno del college. Ma quello che troppi ignoravano era che dietro questi esperimenti c'erano persone poco raccomandabili. Lui era un Risvegliato, e vedeva la realtà per quello che era, non per come gli si mostrava, come i Dormienti, poveri ed ignari umani, facevano; e poteva manipolarla, entro i limiti, ma poteva farlo.
Gli esperimenti erano finalizzati alla distruzione degli altri Risvegliati come lui, gli individui strafatti andavano in giro per i luoghi da loro frequentati a compiere atti di teppismo e devastazione. Ed il suo gruppo era stato designato per fermare tutto ciò.
Si riscosse dai suoi pensieri quando Jerry, lo studente più anziano incaricato dal college a far integrare le matricole, si avvicinò. La sua T-shirt blu scuro mostrava nel centro una simpatica fusione tra una lampadina ed un pesce. Una vecchia puntata dei Simpson, in cui Homer si scopriva sosia del logo di una nota marca di detersivo giapponese. Ma anche questi pensieri occuparono per poco la sua mente. E ne approfittò per porre alcune domande al nuovo arrivato:
- Jerry...
- Ehi Nebraska... allora, come va dopo il tuo primo giorno di corsi?
- Tutto bene... senti, ho sentito in giro di alcuni esperimenti di neurologia, quelli in cui fanno assumere droghe innocue ai volontari per provare l'effetto che essi hanno nella zona encefalica... è interessante...
- Ah, si... il professor Langdon se ne occupa. Se non sbaglio tiene dei corsi del terzo anno di medicina... Biochimica III... roba forte...
- Uhm, quindi mi toccherà affrontarlo prima o poi... eheh... ma tornando agli esperimenti?
- Non so quando li tengano, dovresti parlare con il professore. Ma non penso che potresti entrare nel progetto come ricercatore, matricola... Magari stai pensando di fare il volontario, eh? - e le sue parole sfociarono in una profonda risata.
- Magari... - rise anche Montgomery. Quante cose non sapeva. Non sapeva che in realtà Daniel Nebraska era il suo nome fittizio, con cui si era infiltrato ad Harvard. Non sapeva che in realtà lui era Montgomery Payne, ed era a conoscenza di molto di più di quanto facesse intendere. E non sapeva che era più che intenzionato ad entrare nel progetto dalla parte di chi contava qualcosa. E che questo significava diventare il pupillo del prof. Langdon.
- Be', io mi sa che vado, il mio turno è finito e i miei corsi lo sono già da un pezzo. - disse Jerry.
- Ah, certo... io darò un'ultima occhiata alla facoltà e seguirò il tuo esempio.
- Va bene, alla prossima, Nebraska. - E gli voltò le spalle.
Montgomery sapeva già cosa fare. Si recò in tutta fretta davanti la bacheca e lesse gli orari dei corsi. Trovò subito quello che gli interessava. Biochimica III. C'era giusto il giorno dopo, nel primo pomeriggio. Si recò di corsa all'aula che doveva ospitare il corso. In quanto Risvegliato aveva dei poteri (ed in particolare riusciva a scorgere i movimenti temporali, sia nel passato che nel futuro) che non avrebbe esitato ad usare per raggiungere i suoi scopi, ed in questo caso avrebbero fatto comodo. Leggere i riverberi temporali futuri del luogo in cui il professore avrebbe insegnato il giorno dopo per capire quale argomento egli avrebbe affrontato e come poter mostrarsi erudito ed interessato a tale argomento da stupirlo e poter entrare nelle sue grazie studentesche. Sembrava un piano molto semplice, ed in effetti lo era. Ma i piani semplici erano sempre i migliori.
Arrivato davanti l'aula, c'era Ics Custer (almeno così diceva il suo badge appuntato al petto), il bidello, che stava ultimando le sue faccende.
- Salve...
- Si? - Gli rispose in maniera seccata il bidello.
- Piacere, sono nuovo... Daniel Nebraska. Volevo chiedere... domani il professor Langdon terrà un corso qui?
- Si - il bidello prese un po' di tempo per rispondere. E lo usò per squadralo da cima a fondo. - si, domani ci sarà il corso di Biochimica III alle 14 e 15. Venga un po' prima, magari verso le 14. Il professore di solito prende un quarto d'ora di anticipo per un rapido riepilogo quando deve affrontare argomenti molto difficili come quello di domani.
- Ah... - Montgomery aveva appena finito di memorizzare la conformazione dell'aula su cui avrebbe poi utilizzato il suo incantesimo. - E' un argomento difficile, allora... di cosa si tratta?
- Caratteristiche biochimiche avanzate della pompa-idrogeno...
- Ah, capisco. - Aveva già avuto modo di studiare l'argomento, ma mai in maniera così approfondita come le parole del bidello gli facevano presagire - e lei ne sa qualcosa?
Il bidello lo guardò, e per un attimo sembrò ferito nell'orgoglio - Certo, sono laureato qui in medicina. Stessa classe del rettore Wilkes, 1986. Lui ha avuto più fortuna di me.
- Lei è un medico? - Montgomery lo guardò stupefatto.
- Si. Ti sembra strano? - e sputò nel secchio pieno quais fino all'orlo di acqua e detersivo.
- Ehm, un pochino si, se devo essere sincero. Però devo ammettere che fare la conoscenza di un laureato ad Harvard che vi lavora ancora in maniere non ortodossa mi rende curioso... Le va di parlare un po' dell'università, non saprei... magari stasera in un bel pub irlandese?
Il bidello guardò con una strana espressione, tra lo sconvolto, il terrorizzato e l'incuriosito, il nuovo studente che dopo nemmeno 5 minuti di discorsi lo invitava a fare quattro amabili chiacchiere davanti ad una birra.
- Va benissimo. Alle 9 qui davanti? - il bidello decise che era una situazione troppo strana per non andare avanti.
- Certamente. - Montgomery esultò silenziosamente. Chi meglio di un interno avrebbe potuto dargli informazioni sui retroscena universitari? E chi meglio di un laureato che da più di 20'anni continuava a seguire indirettamente i corsi avrebbe potuto insegnarli qualcosa di comodo? Se a tutto ciò si uniscono gli incantesimi che il suo status di Risvegliato gli permetteva, forse il piano benché semplice, che a una persona normale sarebbe parso impossibile, sarebbe stato attuabile.
- Alle 9 davanti al piazzale antistante. Perfetto. La saluto allora, dottore. - Montgomery sorrise e si congedò. Andando via non potè fare a meno di sfregarsi le mani per la ghiotta occasione che il Destino gli stava fornendo.
Che fosse stata anche quest'occasione merito di un suo incantesimo? Era probabile. Niente era dovuto al caso, soprattutto quando avevi conoscenze tali da riuscire a manipolarlo. Era tutto merito tuo.

mercoledì 2 aprile 2008

Una giornata inutile

Ci sono giorni che meritano più di altri di essere ricordati.
Il 20 Luglio 1969, ad esempio, quando il primo uomo mette piede sul suolo lunare, o la tarda estate 1973 in cui Bob Dylan canta "Like a rolling stone".
Ci sono altre giornate che tu reputi meritevoli di essere ricordate.
Il 17 Dicembre 1985, ad esempio, giorno in cui gran parte dei miei problemi passati nacquero (prima ancora che nascessi io, che bello).
Ci sono altre giornate che, invece, non hanno avuto alcun particolare interessante e non hanno portato nulla di nuovo.
L'1 Aprile 2008, ad esempio, che nonostante fosse il giorno dei "pesci d'Aprile" non è stato foriero di alcun evento degno di nota. Ah, mi fanno notare che il primo di aprile 2008 è oggi (o è appena passato, dato che mezzanotte è già stata superata).
Che è successo di così eclatante? Un bel niente.
Nella mia testa sarei dovuto alzarmi presto, pagare le tasse universitarie in banca, andare a lavoro fino alle 4 del pomeriggio per recuperare la giornata di lavoro persa perché 5 avrei dovuto avere un corso di formazione professionale; in seguito alle 8 e mezza da Matteo per giocare a Mage. Giornata presumibilmente piena.
In realtà, ho spento la sveglia alle 9 del mattino, mi sono rimesso a letto fino all'una. Mia madre che tornava da lavoro mi ha svegliato e mi ha chiesto se avessi pagato le tasse. Io che ancora barcollavo per essere da poco stato strappato dalle braccia di Morfeo annuivo mentre lei guardava il bollettino ancora intonso sul tavolo. Prima figura di merda della giornata, e quando la fai con tua madre, la cosa è preoccupante. Pranzo a base di rigatoni al sugo e poi di corsa in banca a versare i soldi (dopo un paio di ore passate alla pratica di metodi per svegliarsi). Si entra in banca, uno si aspetta chissà quale fila, ed invece ci sono due casse aperte e tre persone. In 5 minuti sono di nuovo a casa. A vegetare. Chiama il boss al telefono, al quale dico che non sono passato a lavoro stamattina per "problemi imprevisti" e che il pomeriggio non ci sarei stato. La prende con filosofia ("Ci vediamo domani, recupererai il lavoro arretrato"). Chiama Ema, per dirmi che non si gioca più a Mage stasera. Seccato, mi adeguo alla decisione comune.
Attendo fino alle 4 e mezza che mio padre mi dica dove andare a seguire un seminario pseudo-giuridico per un lavoro (si spera) futuro. Poi gli telefono e mi dice che per oggi il corso è saltato. Va bene. E' tardi per andare al lavoro. Si continua a vegetare. L'insofferenza alle quattro mura impone di uscire. Decido per la fumetteria. Chiamo Claudio per chiedergli di venire con me: "No, ho da fare" e in sottofondo la voce di una donna... va be'... chiamiamo chi di questi problemi non ne ha. "Si, Francè, passami a prendere", "Ottimo Ema, comincia a scendere che tra 5 minuti sono da te". Manco il tempo di chiudere la porta che Ema richiama: "Niente da fare, non posso uscire... già che ci sei chiedi dei fumetti per me?". Va be', ci vado da solo.
Dopo 10 minuti arrivo e compro quello che devo comprare. E' relativamente tardi e devo riportare la macchina a mammina. Mi chiama Simone: "We, passa da me che ti do un po' di roba". Va bene. Tanto casa sua è a 20 metri dalla fumetteria, ci metterò poco. Causa riassetto stradale, entro 30 minuti sono da Simone, che mi dava per disperso. Ritiro la roba, saluto rapido e corro a prendere la mammina, che scopro con simpatico terrore essere già tornata a casa a piedi. Va be', altro cazziatone in arrivo. Corro a casa, subisco il cazziatone, ceno e vegeto. Leggo un po' di Dick, un po' gioco a Guitar Hero, un po' sclero su msn. Ripenso che la giornata è inutile e scrivo sul blog un post altrettanto inutile. Be', perché tenere in mente solo le cose degne di nota, belle o brutte? Per una volta voglio ricordare ciò che è totalmente inutile e a cui sono totalmente indifferente. Apatia, questa è la parola-chiave!
Che schifo.

Morale della favola: il troppo alcol fa male, il troppo poco alcol rende apatici e la poca vita sociale rende vegetali e ti fa pensare a cose a cui non vorresti pensare. Oltre a renderti tremendamente prolisso.

Next: l'Angolo della Bestemmia, per far diventare voi blasfemi in erba dei veri e propri Anticristo.

mercoledì 26 marzo 2008

E non ha smesso mai di piovere...

Il tempo è pessimo.
Il mio umore è anche messo peggio.
C'est la vie.
Voglio una rossa. Ma non una qualunque. Una doppio malto.
Saluti alcolici.

martedì 25 marzo 2008

E Pasqua andò così...

Le vacanze di Pasqua con oggi finiscono. In effetti le ho sentite poco, non c'era quell'atmosfera tradizionale-familiare a pranzo dalla nonnina con il culmine nell'apertura delle uova di cioccolato con i cuginetti che si lamentano della sorpresa toccata al fratellino o alla sorellina o alla nonna. Quest'anno l'ho passata lontano da casa (no, no, ancora più lontano) a girare per città sconosciute tra acquari e passeggiate sul lungomare ed onde anomale... una Pasqua diversa, anche se ancora non riesco a rendermi conto sia stata una Pasqua... meglio così, a volte allontanarsi dalla famiglia fa bene. E riesce a darti la forza per affrontare di nuovo i tuoi parenti per il resto dell'anno. O almeno fino alle vacanze estive :)
Be', al ritorno c'erano tante uova di cioccolato da aprire e tanto, tanto, tanto diabete...
Vado a rifocillarmi di zuccheri... un saluto e buona Pasqua posticipata!

sabato 15 marzo 2008

Le verità della vita

Per chi non l'avesse capito, quello/a a destra è Bill Kaulitz o come cazzo si scrive, il cantante dei Tokio Hotel (ma, porca puttana, si scrive Tokyo, ignoranti!) e quello a sinistra l'unico vero Dio Chuck Norris. Ma definirlo Dio è riduttivo.
Va be', buonanotte, la stronzata della giornata l'ho scritta...

venerdì 14 marzo 2008

Piove...

Metallica a parte, è da un po' che ascolto questa canzone. Dire che la adoro è poco... non so, forse mi ricorda me stesso, o forse cerco solo di fare in modo che mi ricordi, ma, al diavolo, questo dubbio non mi impedisce di ascoltarla ancora ed ancora... be', giudicate voi...

November Rain
dei Guns and Roses

When I look into your eyes
I can see a love restrained
But darlin' when I hold you
Don't you know I feel the same
'Cause nothin' lasts forever
And we both know hearts can change
And it's hard to hold a candle
In the cold November rain
We've been through this such a long long time
Just tryin' to kill the pain
But lovers always come and lovers always go
An no one's really sure who's lettin' go today
Walking away
If we could take the time to lay it on the line
I could rest my head
Just knowin' that you were mine
All mine
So if you want to love me
then darlin' don't refrain
Or I'll just end up walkin'
In the cold November rain

Do you need some time...on your own
Do you need some time...all alone
Everybody needs some time...on their own
Don't you know you need some time...all alone
I know it's hard to keep an open heart
When even friends seem out to harm you
But if you could heal a broken heart
Wouldn't time be out to charm you

Sometimes I need some time...on my
own Sometimes I need some time...all alone
Everybody needs some time...on their own
Don't you know you need some time...all alone

And when your fears subside
And shadows still remain, ohhh yeahhh
I know that you can love me
When there's no one left to blame
So never mind the darkness
We still can find a way
'Cause nothin' lasts forever
Even cold November rain

Don't ya think that you need somebody
Don't ya think that you need someone
Everybody needs somebody
You're not the only one
You're not the only one

Visto che non tutti comprendono l'inglese - nemmeno quello abbastanza semplice - abbozzerò una traduzione pret-a-porter...

Quando guardo nei tuoi occhi
posso vedere un amore trattenuto
ma piccola, quando ti stringo
non sai che mi sento allo stesso modo
perché niente è per sempre
e sappiamo che i nostri cuori possono cambiare
ed è dura portare una candela
nella fredda pioggia di Novembre
ci siamo dentro da tanto tempo
non facendo altro che cercare di sopportare il dolore
ma chi si ama sempre viene e chi si ama sempre va
e nessuno sa mai chi è quello che lascia oggi
camminando via
Se prendessimo tempo per chiarire
potrei riposare la mia testa
anche solo sapendo che tu eri mia
tutta mia
perciò se vuoi amarmi
allora, piccola, non trattenerti
o alla fine mi ritroverò a camminare
nella fredda pioggia di Novembre

Hai bisogno di tempo... per conto tuo
hai bisogno di tempo... da passare da sola
tutti hanno bisogno di tempo... per conto loro
non sai che hai bisogno di un po' di tempo... da passare da sola
So che è difficile tenere aperto un cuore
quando anche gli amici sembrano essere lì per farti del male
ma se potessi guarire un cuore spezzato
il tempo non sarebbe lì per cercare di trarti in inganno

A volte ho bisogno di tempo... per conto mio
a volte ho bisogno di tempo... da passare da solo
tutti hanno bisogno di tempo... per conto loro
non sai di aver bisogno di tempo... da passare da sola

E quando le tue paure si placano
e le ombre restano ancora
so che puoi amarmi
quando non c'è più nessuno da incolpare
Perciò non importa l'oscurità,
possiamo ancora trovare una strada
perché nulla è per sempre
nemmeno la fredda pioggia di Novembre

Non credi di aver bisogno di qualcuno?
Non credi di aver bisogno di una persona?
Ognuno ha bisogno di qualcuno
non sei la sola
non sei la sola...

E ricordate... nulla dura per sempre, nemmeno la fredda pioggia di Novembre. Tutto passa. Sia in bene che in male. Amen.

venerdì 7 marzo 2008

La Gordon's Platinum fa venire mal di testa...

Monotonia. Tutto sembra uguale, stesse persone, stesse cose da fare, stessa merda. Una serata relativamente comune (Claudio: "Stasera al Bad Habit c'è la finale di una contest tra bande rock") può diventare tutt'altro (Prisco: "Stasera c'è John Rambo al cinema, è l'ultima serata" io:"Wa, non è possibile che me lo perda"). In sostanza al cinema, riservandoci di presenziare al band contest in seguito, non si sa mai, magari si offendono... Ok, l'ultimo Rambo aveva una storia che faceva acqua da tutte le parti, le forzature erano all'ordine del giorno, le scelte del regista discutibili e gli insegnamenti etici e/o morali visti e rivisti. Però la violenza c'era... ed anche tanta... come il sangue... da far impallidire un piromane granguignolista convinto (reputarlo splatter sarebbe riduttivo... "AHAHAHAHAHAH" come riderebbe Simone). Cosa c'era di bello? Alfio che tutto entusiasta correva da noi gridando "Madonna quanti cadaveri" mentre la tipa pacifista e per nulla amante dei film d'azione seduta davanti a noi si rivestiva inorridita durante i titoli di coda. Ed ancora prima la faccia beata di Prisco, che sembrava aver raggiunto il suo Nirvana, durante la scena-massacro chiave del film. Come direbbe Lisa "non pensi che tutta questa violenza ci desensibilizzi?".
E pensare che volevo andare al Bad Habit a vedere di rincontrare gente che non vedevo da secoli. Fa nulla, aspetteranno. Il mio fatalismo dice che se non è accaduto oggi, o accadrà in seguito o non sarebbe comunque potuto accadere (e grazie al cazzo, direbbe una persona con un minimo di senso logico).
Post fiacco che non spiega un'assenza molesta e duratura. Ormai critico da solo anche il mio blog.
Non cagare il cazzo, il blog è mio e ci scrivo quello che mi pare quando mi pare. Ormai mi mando a fare in culo anche da solo. Bha, vi saluto con un classico
See you on the dark side of the Moon
a testimonianza dei miei danni al cervello :)

domenica 27 gennaio 2008

E questo giro lo offre Bender...

Strano di come una volta non facevi altro che andare in giro per raccogliere esperienze da raccontare sul tuo blog, e di come all'improvviso ti capiti di abbandonarlo lì, come un'amante tradita...
E' più di un mese che non scrivo, non perché non ne avessi voglia, ma perché forse in fondo in fondo cercavo solo altre cose da scrivere... o forse non ho mai avuto il tempo di mettere per iscritto un periodo che non era altro che di transizione tra uno stato d'animo e l'altro. O semplicemente perché il tempo c'era ma non volevo dar prova di come mi sentissi nel suddetto periodo.
Al diavolo, è il caso di un aggiornamento...
Allora, cos'è accaduto dal mio ultimo post... tante cose, che mi chiedo se sia il caso di mettere per iscritto. L'indecisione gioca brutti scherzi, e forse l'unico momento buono è approfittare dei tuoi propositi che vacillano. Se poi l'alcol aiuta, tanto meglio.
L'unica cosa che reputo meritevole di essere ricordata, è il ritorno da una gita a Sorrento. Ad incontrare una persona che non vedevo da tanto ma con cui ho avuto il piacere, e la fortuna, di poter parlare molto di questi tempi.
E ricordo il ritorno a casa, dopo tanto tempo di separazione (o forse semplicemente il ritorno alla vita così come la ricordavo dopo l'incontro). Ricordo l'autostrada, immersa nel torpore del primo mattino, mentre il sole si fa vedere mentre si affaccia piano oltre il Vesuvio alle tue spalle, slalomando tra camion ed altri automezzi pesanti che sembrano solo ostacoli che ti separano dal tuo letto. Ed i suoi primi raggi illuminano la strada, come a ricordare che, qualunque cosa accada, lui sarà lì, puntuale, ad aprirsi all'alba di un nuovo giorno.
Ed era così che la pensavo, e pensavo che tutto quello accaduto quella notte sarebbe rimasto lì, come - parole della mia controparte (ormai è così che penso a lei) - un sogno. Un sogno stupendo, che avrebbe trovato fine, meritata, in quella nottata, anch'essa stuependa.
Ma il destino è beffardo. La penso così, ed ogni volta ne sono al colmo della felicità. Se non fosse stato così adesso sarei stato al colmo della felicità. Invece sono sempre più felice che il sogno non sia ancora terminato, almeno da parte mia. E spero non finisca mai.
Niente è per sempre. Ok, sono d'accordo, ma per una volta vorrei illudermi. C'è una cosa che tutto questo mi ha fatto capire: mai arrendersi, mai essere pessimisti. Ho le basi per ricominciare qualora mi svegli imporvvisamente da tutto questo, ma ciò non toglie che cercherò di difendere con gli artigli quell'angolo di stabilità che ho - un po' volutamente, un po' per caso - trovato.
E' questo quello che è successo in questo periodo, quello che ha monopolizzato le mie emozioni. Ed ogni volta che ripenso a tutto questo non riesco a non intenerirmi di fronte a tutto. Non è normale di come una persona che hai visto per meno di 24 ore (sue testuali parole u.u) possa farti sentire così, ma dopotutto, nessuno di noi è normale, a suo modo.
E per una volta tanto, mi sento di festeggiare. Non perché le persone che abbia incontrato e con cui ho condiviso serata (e non solo) siano meno importanti. Giusto perché per una volta non è il caso di cercare il pelo nell'uovo in ogni bel momento.
Ed ecco qui, come mi sento di questi tempi. Bha, sarà anche poco, ma sono felice così.
Questo giro, lo offre Bender.
E buonanotte.