domenica 27 aprile 2008

Arriva Morfeo

Week end da paura...
Venerdì, concerto dei Linea, con l'onnipresente Claudio e quella stronza di Adriana...
Sabato, cazzeggio per il Comicon, partita a calcetto con triplice carpiato annesso e serata al Blue Kiss, metallo e pogo a manetta assieme al mecgaiveristico Giovanni (l'unico che io abbia mai visto portare in macchina la strumentazione tattica per una catastrofe post-apocalittica, stile zaino di Eta-Beta, con la quale ha evitato il pronto soccorso ad un ragazzo gravemente (?) ferito alla testa durante il pogo selvaggio), all'onnipresente (l'ho già detto?) Claudio e al tiratissimo Simone (mr. Gagliardo, è pregato di ricordarsi che senza il nostro supporto a quell'ora sarebbe stato a casa a dormire). Grandi i gruppi che hanno suonato, in particolare i Deus x Machina di cui ormai siamo diventati groupie (non nel senso che vorremmo sbatterceli, ma nel senso che siamo dovunque loro vadano...) ed i Menarca che hanno ravvivato la nostra serata a base di fumo e birra di seconda mano. Ed in particolare questi ultimi hanno suonato una canzone che da un po' mi ronzava in testa... ecco a voi l'intro del Black Album dei Metallica... Arriva Sandman...

Enter Sandman
di Metallica (1991)

Say your prayers little one
Dont forget, my son
To include everyone

Tuck you in, warm within
Keep you free from sin
Till the sandman he comes

Sleep with one eye open
Gripping your pillow tight

Exit light
Enter night
Take my hand
Off to never never land

Somethings wrong, shut the light
Heavy thoughts tonight
And they arent of snow white

Dreams of war, dreams of liars
Dreams of dragons fire
And of things that will bite

Sleep with one eye open
Gripping your pillow tight

Exit light
Enter night
Take my hand
Off to never never land

Now I lay me down to sleep
Pray the lord my soul to keep
If I die before I wake
Pray the lord my soul to take

Hush little baby, dont say a word
And never mind that noise you heard
Its just the beast under your bed,
In your closet, in your head

Exit light
Enter night
Grain of sand

Exit light
Enter night
Take my hand
We're off to never never land

Va be', per stavolta traduco...

Dì le tue preghiere piccolo
non dimenticare, figliolo
di menzionare tutti

Rimboccati le copere, il caldo lì dentro
ti terrà al sicuro dai peccati
finché Morfeo arriverà

Dormi con un occhio aperto
abbracciando stretto il tuo cuscino

Va via la luce
arriva la notte
afferra la mia mano
fino alle Terre del Sogno

Qualcosa di sbagliato spegni la luce
pesanti pensieri stanotte
che non sono candidi come la neve

Sogni di guerra, sogni di menzogne
sogni del fuoco di drago
e di cose che mordono...

Dormi con un occhio aperto
abbracciando stretto il tuo cuscino

Va via la luce
arriva la notte
afferra la mia mano
fino alle Terre del Sogno

Ora adagiami nel sonno
prega il Signore di custodire la mia anima
se morissi prima di svegliarmi
prega il Signore di prendere la mia anima

Fa' silenzio mio bambino, non dire una parola
e non pensare ai rumori che senti
è solo la bestia sotto il tuo letto,
nel tuo armadio, nella tua mente

Va via la luce
arriva la notte
granelli di Sabbia

Va via la luce
arriva la notte
afferra la mia mano
siamo nelle Terre del Sogno

L'intera canzone riprende il personaggio di Sandman, fumetto (in questo caso opera d'arte, anche se le due cose spesso coincidono ma pochi lo ammettono) di Neil Gaiman, Signore dei Sogni (e mi riferisco sia al personaggio che all'autore), e pertanto mi sembra d'obbligo chiudere il tutto con una frase tratta da esso:

- E' tutto vero? O è solo frutto della mia immaginazione?
- Se mi dici la differenza, forse posso risponderti...

E questo è tutto... buonanotte da Bender, e...
Sogni d'oro!

sabato 19 aprile 2008

Requiem

Ogni giorno si incontrano centinaia di pesone. Statisticamente, solo con il 10% di queste si hanno contatti. E solo con il 10% di questo 10% si avrà un rapporto duraturo. Premesso che non so nemmeno io in quale di queste percentuali considerare la persona che ci ha lasciato, la sua prematura scomparsa mi dispiace tremendamente. Non è un modo per porgere le condoglianze ai parenti, nonostante non abbia avuto modo di presenziare al funerale per cause varie... la notizia mi ha scioccato davvero. Ho avuto modo di parlare poche volte con lei, molte delle quali affatto serie, e ancor meno ho avuto modo di incrociarla dopo che abbandonai il gruppo di cui lei faceva parte e io avrei volentieri voluto farne. Tutto questo mi lascia l'amaro in bocca, non tanto per la morte in sè (la morte è solo la conclusione della vita, e prima o poi deve arrivare... questo lo si accetta facilmente) ma perché ci sono infinite cose che si imparano, si fanno e si provano a sedici anni. Si matura in un certo senso, e non poter vedere come sarebbero cambiate le cose ti abbatte.
Ricordo le parole di Simone quando me lo disse "...non ce l'ha fatta." e quello che pensai (e forse risposi) in quel momento: "Cazzo.". Non la conoscevo molto (forse per nulla), però forse proprio la morte di persone di cui non sapevi molto ti deprime perché non hai avuto il tempo (o la voglia, o la forza) di conoscerle... sapevo che adorava i Guns 'n' Roses (e ringrazio Simone per avermelo riportato alla memoria) e che la loro maglia adesso riposa con lei. Ed in quel momento ho pensato che stava andando anche lei a Paradise City (e ringrazio di nuovo Simone di aver detto che anche lui la pensava così e di avermi dato in un certo qual modo la forza di scrivere questo post) e che meritava un ultimo saluto. Ed a lei dedico questa canzone: addio, Federica.

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

Just an urchin livin' under the street
I'm a hard case that's tough to beat
I'm your charity case
So buy me somethin' to eat
I'll pay you at another time
Take it to the end of the line

Rags to riches
Or so they say
You gotta
Keep pushin' for the fortune and fame
You know it's, it's all a gamble
When it's just a game
You treat it like a capitol crime
Everybody's doin' their time

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home

Strapped in the chair of the city's gas chamber
Why I'm here, I can't quite remember
The surgoen general say's it's hazardous to breathe
I'd have another cigarette
But I can't see
Tell me who you're gonna believe

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home, yeah hey eyeah
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

So far away
So far away
So far away
So far away

Capitain America's been torn apart
Now he's a court jester
With a broken heart
He said turn me around
And take me back to the start
I must be losing my mind
"Are you blind?!"
I've seen it all a million times

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home, yeah hey eyeah
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home, yeah hey eyeah
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

I want to go
I want to know
Oh, won't you please take me home

I want to see
Oh, look at me
Oh, won't you please take me home

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home,
Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

Take me down
Oh yeah
Beat me down
Oh, won't you please take me home

I want to see
Oh, look at me
Oh, won't you please take me home

I want to see
Boy, I'm gonna be mean
Oh, oh take me home

Take me down to the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Oh, won't you please take me home

I want to go
I want to know
Oh, won't you please take me hooooooome
Baby

P.S.: questo post vuole solo essere l'estremo saluto ad una persona con cui si è diviso la stessa comitiva. Se ha fatto male a qualcuno, mi dispiace, non era mia intenzione.

sabato 12 aprile 2008

These are the days of our lives

I Queen. Hanno fatto tanto. Hanno scritto tanto. Hanno suonato tanto. Ma gran parte di questo resta in noi. Una canzone ritrovata per caso, che ti fa pensare. Alla tua vita, a quello che hai fatto, a dove sei. A come vorresti riportare, per un attimo, il tempo indietro e rivivere le cose che hai vissuto. E l'impotenza di farlo diventa nostalgia. E ripensi ai Queen. E alla voce di Freddie che canta questa canzone...

Sometimes I get to feelin
I was back in the old days - long ago
When we were kids when we were young
Thing seemed so perfect - you know
The days were endless we were crazy we were young
The sun was always shinin - we just lived for fun
Sometimes it seems like lately - I just dont know
The rest of my lifes been just a show

A volte mi sembra di sentire
che sia tornato indietro ai vecchi tempi - tanto tempo fa
quando eravamo ragazzi quando eravamo giovani
le cose sembravano così perfette - lo sai
i giorni erano infiniti eravamo folli eravamo giovani
il Sole risplendeva sempre - vivevamo solo per divertirci
a volte mi sembra che alla fine - semplicemente non so
il resto della mia vita è stato solo uno spettacolo

Those were the days of our lives
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one thing is true
When I look and I find I still love you

Questi erano i giorni delle nostre vite
le cose brutte nella vita erano così poche
questi giorni sono tutti passati adesso ma una cosa è vera
quando guardo e trovo, ti amo ancora

You cant turn back the clock you cant turn back the tide
Aint that a shame
Id like to go back one time on a roller coaster ride
When life was just a game
No use in sitting and thinkin on what you did
When you can lay back and enjoy it through your kids
Sometimes it seems like lately - I just dont know
Better sit back and go with the flow

Non puoi portare indietro l'orologio non puoi portare indietro la marea
questa non è una vergogna
avrei voluto tornare indietro ad un giro su una montagna russa
quando la vita era solo un gioco
non ha senso sedersi e pensare a cosa hai fatto
quando potresti tornare indietro e godertelo attraverso i tuoi bambini
a volte sembra che alla fine - semplicemente non lo so
sia meglio sedersi ed andare con il flusso

Cos these are the days of our lives
Theyve flown in the swiftness of time
These days are all gone now but some things remain
When I look and I find no change

Perché questi sono i giorni delle nostre vita
sono passate nella rapidità del tempo
questi giorni sono tutti passati adesso ma alcune cose rimangono
quando osservo e vedo che niente è cambiato

Those were the days of our lives - yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one things still true
When I look and I find
I still love you

Questi sono i giorni delle nostre vite- yeah
le brutte cose nella vita sembravano così poche
questi giorni sono tutti andati ora ma una cosa è ancora vera
quando osservo e trovo
ti amo ancora

Freddie ci lasciò poco dopo questa canzone. Ed è un peccato, ma questo si sa.
Ma la canzone in se è di tutti. O almeno di tutti quelli che si sono fermati un secondo ed hanno pensato a come è stata la loro vita fino a quel momento. Perché non si può tornare indietro, anche se un periodo è brutto non potrete fare a meno poi di sorridere e di ripensarvici come una delle vostre vicissitudini. Forse mi sto facendo prendere molto dalla nostalgia, ma sembra vada di moda di questi tempi ;) ma va bene, l'importante è non fermarsi troppo a pensare al passato e costruire sempre qualcosa di nuovo... doppotutto ogni giorno è diverso da quello precedente, e...
These are the das of our lives.
Un saluto da Bender!

giovedì 10 aprile 2008

Due anni buttati... la fine...

Montgomery osservava la sua pinta di scura. Seguiva incantato le traiettorie delle bollicine che salivano fino all'orlo e sparivano. Gli sembrava che anche la birra stesse guardando lui. Una sorta di tacito duello, l'uomo contro il malto fermentato.
- ...e così ho preferito rimanere all'università, se non come studente da inserviente. L'ambiente mi piace, ormai non potrei più farne a meno. - Ics bevve una nuova sorsata della sua bionda. Montgomery si rese di nuovo conto di non essere da solo e decise di abbandonare lo scontro con la sua pinta. Portò l'orlo del bicchiere alle labbra, e trasse un sorso pacificatore.
- Dove hai detto di avere studiato? - disse Ics subito dopo aver posato il suo bicchiere.
- Miskatonic. Arkham. - Rispose Montgomery.
Ics lo guardò e sorrise. - Bella battuta! No, dai, sul serio...
Montgomery sembrò perplesso. - Come sul serio?
- Dai su, non prendermi in giro - altra risata.
- La Miskatonic University di Arkham. Che c'è di strano?
Ics lo guardò preoccupato. - Leggi troppi racconti dell'orrore, ragazzo. Be', piacciono anche a me, dopotutto. - una breve risata. - Allora? Mi dici dove hai studiato? Dai, su, davvero...
- Ho detto alla Miskatonic! - Montgomery stava cominciando ad irritarsi - si trova qui vicino, ad Arkham. Sono pochi chilometri.
- Arkham è un posto inventato... - Ics lo guardò seriamente.
- Smettila... - esitò un attimo - ci ho studiato. Ho studiato alla Miskatonic di Arkham!
- Si, va bene. Ci rinuncio. - Ics si voltò - Cameriera un'altra.
- Anche per me, dolcezza - ne ordinò una anche Montgomery.
Il resto della serata proseguì tra chiacchiere e visioni del mondo. Non toccarono il delicato argomento Arkham.

- Serata piacevole, ragazzo. Era da tanto che non lo facevo. - Ics scese dalla decappottabile.
- Si, per me è stato un onore parlare con un dottore laureatosi ad Harvard. - sorrise.
I due si salutarono. Montgomery si avviò, pensieroso. Dopotutto nessuno mostrava di conoscere la sua università, nonostante si trovasse cos' vicino a Boston. In effetti, non aveva mai visto altri studenti che provenissero dalla stessa università. E se il vecchio avesse detto il vero? Controllò l'orologio. Mezzanotte e un quarto. Domani avrebbe avuto lezione, ma in quel momento aveva bisogno di controllare una cosa. La sua sicurezza stava vacillando. Il motore rombò non appena girò la chiave. La macchina partì, sgommando.

La statale proseguiva. Mancava poco all'uscita per Arkham. Svoltò su una stradina secondaria che proseguiva verso nord, ricordandosi dove avrebbe dovuto svoltare ancora, subito dopo la stazione di servizio di Larry. I fari della macchina emanavano sinistri aloni nella nebbia che vorticava per la strada. Era umido, ma non freddo, e questo favoriva i banchi di nebbia a discapito della visibilità.
Scorse in lontananza la stazione di servizio. Due distributori di fronte ad un piccolo fabbricato di legno e ruggine. Rallentò, perplesso, non appena vide l'insegna. Penzolava appesa al palo. Mosse lo sguardo ai distributori. Erba e rampicanti ne avevano preso possesso, e chissà da quanto non venivano utilizzati. La porta, scardinata cigolava, la serratura ormai corrosa dalla ruggine, il vetro superiore il frantumi. Possibile che Larry avesse abbandonato il posto? Lo ricordava come un vecchio serio e composto, piuttosto taciturno. Forse un po' troppo chiuso di vedute. Be', il Vietnam l'aveva cambiato. Aveva cambiato tutti, suo padre continuava a ripeterlo. Riportò i suoi pensieri alla stazione. Da quanto mancava in quel luogo? Una decina d'anni. In dieci anni, pensò, guarda cosa può combinare il tempo. Proseguì sulla piccola stradina per un paio di chilometri, aspettando di intravedere lo svincolo. Non lo vide. Accostò, pensieroso. Si, si era sbagliato, non c'era alternativa. Aveva preso qualche strada sbagliata. No, era sicuro che fosse la strada giusta. E sarebbe praticamente dovuto già essere in città. Scese dalla macchina e si avvicinò alla vasta prateria che scorgeva di fronte. Brancolò per una mezz'ora avanti ed indietro, scrutando in cerca di luci e villaggi nella zona. Nulla.
Cominciò a rabbrividire. Lui c'era stato, lo sapeva. Aveva frequentato all'università, uno splendido campus nel mezzo della città, ricordava il complesso, la biblioteca, i due dormitori. Ricordava il Garden Cafè, giusto fuori il complesso, in cui quando non gli andava di seguire si recava assieme al suo compagno di stanza, Harvey Walters, per assaggiare un ottimo caffè, forse il migliore della città. Harvey, chissà che fine aveva fatto. Aveva riempito fin da subito la sua camera di libri, ed agli inizi lui l'aveva creduto un secchione che non sapeva come divertirsi. Invece l'apparenza l'aveva ingannato, ed aveva scoperto subito che anche ad Harvey i festini non dispiacevano. Bei tempi quelli dei festini. Invitavano tutti gli studenti del dormitorio nel loro corridoio e schiamazzavano per tutta la notte. Peccato non ci fossero studentesse. Riflettè un attimo.
Studentesse. Montgomery ricordava che i dormitori fossero due. Ma nessuno dei due era femminile. Gli venne un dubbio. Aveva già sentito parlare di Lovecraft. Era vissuto attorno alla prima metà del 900. In quel periodo non tutte le università erano aperte alle donne. Ma l'emancipazione completa era di molto precedente gli anni in cui aveva frequentato. Non era possibile che la Miskatonic fosse un'università solo maschile. Non con le donne che si vedevano in giro negli ultimi tempi. Avrebbero crocefisso al contrario qualunque uomo cercasse di trattenerle dall'emanciparsi. Il pensiero lo fece ridacchiare. Poi si fermò. Si fece serio. Lovecraft. Lui aveva scritto di Arkham. Ricordò di aver letto qualche suo racconto. Era possibile che avesse preso spunto da quelle storie per creare una realtà partorita dalle fantasie di qualcun altro? Rabbrividì al pensiero. Lui non era mai stato alla Miskatonic. Ma allora come era possibile che conoscesse qualche principio di medicina? Anche ad Arkham lo avevano affermato. Per un attimo la sua sicurezza venne meno. Fu sostituita da un senso di orrore, che si annidò al suo stomaco. Ma il suo cervello continuava a cercare di comprendere. Ritornò alla macchina. Frugò nel bagagliaio. Johnnie Walker. Whisky scozzese, che preferiva a quello americano. Diede una lunga sorsata e si accomodò sul sedile del proprio veicolo. Continuò a bere.

Il rumore di un cancello che sbatteva lo svegliò. Si stiracchiò e guardò il sedile al suo fianco. La bottiglia era vuota. Dio, quanto aveva bevuto? Guardò l'orologio. Le 3 e 25. Era tardi. Sbadigliò e fece per mettere in moto il veicolo. Attraverso il parabrezza vide un cancello. Si guardò intorno, esterrefatto. Era all'incrocio tra Coolidge e College Street. Riusciva a scorgere il complesso universitario, dove il cancello semiaperto sbatteva al vento. Scese dalla macchina. Sorrise. Era ad Arkham. Allora esisteva, non si era sbagliato. Nuovo entusiasmo lo percorse, misto ad un pizzico di nostagia, nel rivedere i luoghi della sua tarda giovinezza. Il museo, la banca, il Garden's Cafè... erano tutti chiusi - vorrei ben vedere - pensò - è notte fonda.
Il rumore del cancello attirò ancora la sua attenzione. Perché no? Una visita al campus non gli avrebbe fatto male. Superò l'ingresso e passeggiò per il giardino. Vide l'ala Est del dormitorio. La nostalgia lo spinse ad entrare nell'edificio. L'ingresso era chiuso, ma se non ricordava male... da sotto lo zerbino estrasse la chiave ed aprì la porta. In silenzio si avviò al terzo piano. Ricordava in fondo al corridoio camera sua... chissà se era occupata? Fece per avvicinarsi, ma passando accanto ad una finestra sentì un rumore provenire da fuori. Una macchina d'epoca, molto vecchia, avrebbe detto intorno agli anni 30, passò per la strada silenziosa. Anni 30? Sorrise... ah, le coincidenze. Il suo sguardo cadde sul tavolino posto vicino il pianerottolo accanto alla sua vecchia camera. E sbiancò. La data era 17 Dicembre 1926. Com'era possibile? Provò ad usare i suoi poteri sul giornale, per capire cosa fosse successo. Per capire come mai il Tempo non era più quello di una volta. Si fermò all'improvviso. La sua stanza. Forse con i suoi poteri avrebbe capito cosa era accaduto. Si concentrò con tutto se stesso per alterare il destino. Poteva manipolarlo, lo sapeva, per fare in modo che un piccolo colpo di fortuna lo aiutasse. Girò il pomello. La porta era aperta. Si erano dimenticati di chiuderla. Mestamente, sorrise, ed entrò.

La stanza era buia. Cercò a tentoni l'interruttore. Se non ricordava male doveva seguire il piccolo corridoietto e sarebbe arrivato alla lampada. Continuò a camminare tenendo una mano sulla parete, nel buio, per diversi minuti. Ma era davvero così grande la camera? Tastò qualcosa sulla parete. L'interruttore. Lo azionò. Una fioca luce si accese di fronte a lui. Vide un'altra porta. Di legno massiccio, piuttosto consumata. Alla luce delle lampade risaltava un simbolo verniciato di rosso sulla porta. Una specie di stella, molto stilizzata, con un occhio piuttosto strano nel mezzo. La pupilla continuava innaturalmente verso l'alto, così che desse l'impressione di una fiamma. Era sicuro che la sua stanza fosse più avanti. Forse il corridoio c'era sempre stato. Solo non lo ricordava. Spalancò la porta. Fu risucchiato dentro.
Davanti a se c'era un immenso bulbo oculare, le vene grandi quanto un grattacielo confluivano nella pupilla rossa da tutta la circonferenza. Tentacoli, come dei una corona si agitavano frenetici attorno al bulbo. Braccia di creature orrende si riversavano fuori dalla massa di carne e zanne che occupava tutto lo spazio e da cui sembrava che l'occhio traesse origine e nel contempo che la massa purulenta fosse generata da esso. La scena per un attimo, forse uno degli ultimi attimi di sanità della sua mente, gli dava l'impressione di un grottesco cielo di terrore in cui splendeva un macabro sole di cui i tentacoli erano i raggi e l'occhio la sua materia. Fissò la pupilla. Riluceva di follia ed ira; non c'era intelligenza in essa, non c'era raziocinio. La forma fisica della distruzione. E lui era in caduta libera verso di essa. Non resse ulteriormente. Quello che vide in seguito furono gli orrori che mai aveva visto nemmeno nei suoi incubi peggiori. Si trovava d'improvviso in un'immensa pianura, il profilo delle montagne all'orizzonte era alieno e terribile. In lontananza, un immensa creatura sferica, un mondo di tentacoli, bocche fameliche, pseudopodi volava nel cielo. Gigantesche creature simili a vermi con una grossa bocca ricoperta di zanne straziavano il suolo della pianura. Da oltre l'orizzonte sorse un'immensa figura, un'essere dalle fattezze umanoidi, con enormi ali e il volto di un polpo. Gli si avvicinò un essere umano. Piuttosto alto di statura, aveva la carnagione piuttosto scura, tra il bruno e l'olivastro, ed una barba che ricordava quella di una sfinge. Montgomery si gettò ai suoi piedi, piangendo ed implorando. L'uomo crebbe in statura, fino a diventare un immenso essere ricoperto di scaglie nere, tripode, che al posto del volto aveva un grosso tentacolo ricoperto di bocche fameliche. Con una delle braccia artigliate lo afferrò e lo divorò.

Il cellulare lo svegliò. Si tastò il corpo. Era sudato, ma vivo. Gli faceva male la testa. Rispose al telefono.
- P...pronto?
- Shogun, dove diavolo sei?? E' tutta la mattinata che ti cerco! - la voce di Morpheus, il suo mentore, che gli aveva insegnato ciò che c'era bisogno di sapere sui Risvegliati.
- Sono, fuori città... tornerò a breve...
- Come va ad Harvard? Come procede il piano?
- Bene... oggi ho intenzione di attuarlo.
- Perfetto. Aspetto tue notizie per domani. - Morpheus attaccò il telefono. Montgomery controllò l'ora. Le 9 e 55. Morpheus aveva fatto i salti mortali per svegliarlo a quell'ora. Di solito il mentore dormiva fino al primo pomeriggio. Si guardò intorno. La città era sparita. Si rese conto finalmente che il luogo non esisteva. Avviò il motore, era ora di andare. Già, Arkham non esisteva. Ripensò al sogno, e rabbrividì. Per fortuna, era solo un sogno. Per fortuna.

EPILOGO

Era mezzogiorno passato quando Montgomery tornò a casa. Azionò il telecomando del cancello elettrico, che in tutta risposta si aprì, lasciandolo entrare. Scese dalla macchina e per un attimo guardò il "Putto che vomita", una scultura regalatagli di un'altra Risvegliata... si chiamava Aoi, l'aveva conosciuta insieme al marito Faustò. Ed un bel giorno si era presentata al bar interrompendo una partita a Black Jack tra lui e Morpheus e regalandogli la scultura, un inusuale accostamento tra il neoclassico, il pulp, il gusto scialbo di uno stilista neozelandese e il cassonetto dei rifiuti fuori casa sua, che ritraeva un simpatico putto che doveva decisamente avere alzato il gomito. Ripensò alla sera prima, anche lui aveva esagerato. E con tutto quello che aveva passato il giorno prima, non gli aveva fatto bene alla psiche. Entrò in casa. Salutò Foscari, il suo affittuario italiano, che era in cucina a prepararsi una spremuta di pompelmo. Lui in tutta risposta lo guardò fisso, boccheggiando.
- Vuoi dirmi qualcosa? - chiese Montgomery.
- Che hai fatto in testa? - continuava a guardarlo fisso.
Montgomery si girò e si guardò nello specchio. Un ciuffo dei suoi lunghi capelli castani gli pendeva davanti agli occhi. Per metà, a partire dalla radice, era diventato bianco.
- Come ti è successo? Cosa hai fatto ieri sera? - continuò Foscari.
- Lascia stare.- Estrasse un paio di forbici e tagliò la metà ancora colorata del ciuffo. - Non parliamone.

domenica 6 aprile 2008

Due anni buttati... Parte I

- Dove ha detto di aver studiato?
- Arkham... la facoltà di medicina della Miskatonic University...
Il professore del corso di Anatomia I guardò il suo interlocutore. Pochi minuti fa era arrivato con un'ora di ritardo alla sua lezione e con fare insolente aveva risposto a tutti i suoi rimproveri. Quasi si era meravigliato nel vederlo subito dopo chiedergli scusa per il suo ritardo e le sue irritanti risposte. Gli aveva risposto con cortesia, nonostante avesse già preso mentalmente nota di lui in modo da riservagli un trattamento particolareggiato all'esame. Ed ancora si era quasi di nuovo stupito alle risposte che gli aveva dato alle sue domande: denotavano particolare preparazione ed interesse alla materia. E per questo lui gli aveva chiesto se avesse già studiato in precedenza la materia. Miskatonic University... non l'aveva mai sentita. Arkham, nei pressi di Boston. Mai conosciuto un posto con un nome simile, e per giunta vicino la sua amata Harvard, dove insegnava ormai per 35 anni. Ma dimostrare ad uno studente ignoranza equivaleva a dimostrare che un professore era un essere umano. E lui non poteva permettersi che i suoi studenti lo ritenessero umano, o avrebbe buttato all'aria più di tre decenni di insegnamento.
- Ah, la Miskatonic... capisco. La sua formazione è buona, decisamente. La sua conoscenza dell'argomento è sufficiente a garantirle la promozione. Ma, mi raccomando, studi con costanza, mi seccherebbe darle una mera sufficienza.
- Certamente, professore. Non sono così presuntuoso da pretendere di ottenere un ottimo voto con le mie conoscenze attuali... approfitterò per approfondire ogni argomento. Ah, mi scusi, sta cominciando il prossimo corso, devo scappare.
- Vada, vada pure...
Il ragazzo (ragazzo? Gli avrebbe dato almeno una trentina d'anni) era molto promettente ed educato, oltre ad essere seriamente interessato alla materia. Bene, sarebbe stato un ottimo medico. Se avesse perseverato. Molti promettenti abbandonavano perché non riuscivano a reggere i ritmi di un college prestigioso come Harvard. Ma qualcosa gli diceva che lui avrebbe tenuto duro.
Con un ghigno ai lati della bocca, il professore si avviò verso il suo studio.

Montgomery si guardò intorno. Era appena in tempo per seguire il corso successivo, ma questo lo avrebbe distratto dal suo obiettivo primario. Alcuni professori stavano sperimentando droghe su degli studenti per scopi scientifici, questo era risaputo all'interno del college. Ma quello che troppi ignoravano era che dietro questi esperimenti c'erano persone poco raccomandabili. Lui era un Risvegliato, e vedeva la realtà per quello che era, non per come gli si mostrava, come i Dormienti, poveri ed ignari umani, facevano; e poteva manipolarla, entro i limiti, ma poteva farlo.
Gli esperimenti erano finalizzati alla distruzione degli altri Risvegliati come lui, gli individui strafatti andavano in giro per i luoghi da loro frequentati a compiere atti di teppismo e devastazione. Ed il suo gruppo era stato designato per fermare tutto ciò.
Si riscosse dai suoi pensieri quando Jerry, lo studente più anziano incaricato dal college a far integrare le matricole, si avvicinò. La sua T-shirt blu scuro mostrava nel centro una simpatica fusione tra una lampadina ed un pesce. Una vecchia puntata dei Simpson, in cui Homer si scopriva sosia del logo di una nota marca di detersivo giapponese. Ma anche questi pensieri occuparono per poco la sua mente. E ne approfittò per porre alcune domande al nuovo arrivato:
- Jerry...
- Ehi Nebraska... allora, come va dopo il tuo primo giorno di corsi?
- Tutto bene... senti, ho sentito in giro di alcuni esperimenti di neurologia, quelli in cui fanno assumere droghe innocue ai volontari per provare l'effetto che essi hanno nella zona encefalica... è interessante...
- Ah, si... il professor Langdon se ne occupa. Se non sbaglio tiene dei corsi del terzo anno di medicina... Biochimica III... roba forte...
- Uhm, quindi mi toccherà affrontarlo prima o poi... eheh... ma tornando agli esperimenti?
- Non so quando li tengano, dovresti parlare con il professore. Ma non penso che potresti entrare nel progetto come ricercatore, matricola... Magari stai pensando di fare il volontario, eh? - e le sue parole sfociarono in una profonda risata.
- Magari... - rise anche Montgomery. Quante cose non sapeva. Non sapeva che in realtà Daniel Nebraska era il suo nome fittizio, con cui si era infiltrato ad Harvard. Non sapeva che in realtà lui era Montgomery Payne, ed era a conoscenza di molto di più di quanto facesse intendere. E non sapeva che era più che intenzionato ad entrare nel progetto dalla parte di chi contava qualcosa. E che questo significava diventare il pupillo del prof. Langdon.
- Be', io mi sa che vado, il mio turno è finito e i miei corsi lo sono già da un pezzo. - disse Jerry.
- Ah, certo... io darò un'ultima occhiata alla facoltà e seguirò il tuo esempio.
- Va bene, alla prossima, Nebraska. - E gli voltò le spalle.
Montgomery sapeva già cosa fare. Si recò in tutta fretta davanti la bacheca e lesse gli orari dei corsi. Trovò subito quello che gli interessava. Biochimica III. C'era giusto il giorno dopo, nel primo pomeriggio. Si recò di corsa all'aula che doveva ospitare il corso. In quanto Risvegliato aveva dei poteri (ed in particolare riusciva a scorgere i movimenti temporali, sia nel passato che nel futuro) che non avrebbe esitato ad usare per raggiungere i suoi scopi, ed in questo caso avrebbero fatto comodo. Leggere i riverberi temporali futuri del luogo in cui il professore avrebbe insegnato il giorno dopo per capire quale argomento egli avrebbe affrontato e come poter mostrarsi erudito ed interessato a tale argomento da stupirlo e poter entrare nelle sue grazie studentesche. Sembrava un piano molto semplice, ed in effetti lo era. Ma i piani semplici erano sempre i migliori.
Arrivato davanti l'aula, c'era Ics Custer (almeno così diceva il suo badge appuntato al petto), il bidello, che stava ultimando le sue faccende.
- Salve...
- Si? - Gli rispose in maniera seccata il bidello.
- Piacere, sono nuovo... Daniel Nebraska. Volevo chiedere... domani il professor Langdon terrà un corso qui?
- Si - il bidello prese un po' di tempo per rispondere. E lo usò per squadralo da cima a fondo. - si, domani ci sarà il corso di Biochimica III alle 14 e 15. Venga un po' prima, magari verso le 14. Il professore di solito prende un quarto d'ora di anticipo per un rapido riepilogo quando deve affrontare argomenti molto difficili come quello di domani.
- Ah... - Montgomery aveva appena finito di memorizzare la conformazione dell'aula su cui avrebbe poi utilizzato il suo incantesimo. - E' un argomento difficile, allora... di cosa si tratta?
- Caratteristiche biochimiche avanzate della pompa-idrogeno...
- Ah, capisco. - Aveva già avuto modo di studiare l'argomento, ma mai in maniera così approfondita come le parole del bidello gli facevano presagire - e lei ne sa qualcosa?
Il bidello lo guardò, e per un attimo sembrò ferito nell'orgoglio - Certo, sono laureato qui in medicina. Stessa classe del rettore Wilkes, 1986. Lui ha avuto più fortuna di me.
- Lei è un medico? - Montgomery lo guardò stupefatto.
- Si. Ti sembra strano? - e sputò nel secchio pieno quais fino all'orlo di acqua e detersivo.
- Ehm, un pochino si, se devo essere sincero. Però devo ammettere che fare la conoscenza di un laureato ad Harvard che vi lavora ancora in maniere non ortodossa mi rende curioso... Le va di parlare un po' dell'università, non saprei... magari stasera in un bel pub irlandese?
Il bidello guardò con una strana espressione, tra lo sconvolto, il terrorizzato e l'incuriosito, il nuovo studente che dopo nemmeno 5 minuti di discorsi lo invitava a fare quattro amabili chiacchiere davanti ad una birra.
- Va benissimo. Alle 9 qui davanti? - il bidello decise che era una situazione troppo strana per non andare avanti.
- Certamente. - Montgomery esultò silenziosamente. Chi meglio di un interno avrebbe potuto dargli informazioni sui retroscena universitari? E chi meglio di un laureato che da più di 20'anni continuava a seguire indirettamente i corsi avrebbe potuto insegnarli qualcosa di comodo? Se a tutto ciò si uniscono gli incantesimi che il suo status di Risvegliato gli permetteva, forse il piano benché semplice, che a una persona normale sarebbe parso impossibile, sarebbe stato attuabile.
- Alle 9 davanti al piazzale antistante. Perfetto. La saluto allora, dottore. - Montgomery sorrise e si congedò. Andando via non potè fare a meno di sfregarsi le mani per la ghiotta occasione che il Destino gli stava fornendo.
Che fosse stata anche quest'occasione merito di un suo incantesimo? Era probabile. Niente era dovuto al caso, soprattutto quando avevi conoscenze tali da riuscire a manipolarlo. Era tutto merito tuo.

mercoledì 2 aprile 2008

Una giornata inutile

Ci sono giorni che meritano più di altri di essere ricordati.
Il 20 Luglio 1969, ad esempio, quando il primo uomo mette piede sul suolo lunare, o la tarda estate 1973 in cui Bob Dylan canta "Like a rolling stone".
Ci sono altre giornate che tu reputi meritevoli di essere ricordate.
Il 17 Dicembre 1985, ad esempio, giorno in cui gran parte dei miei problemi passati nacquero (prima ancora che nascessi io, che bello).
Ci sono altre giornate che, invece, non hanno avuto alcun particolare interessante e non hanno portato nulla di nuovo.
L'1 Aprile 2008, ad esempio, che nonostante fosse il giorno dei "pesci d'Aprile" non è stato foriero di alcun evento degno di nota. Ah, mi fanno notare che il primo di aprile 2008 è oggi (o è appena passato, dato che mezzanotte è già stata superata).
Che è successo di così eclatante? Un bel niente.
Nella mia testa sarei dovuto alzarmi presto, pagare le tasse universitarie in banca, andare a lavoro fino alle 4 del pomeriggio per recuperare la giornata di lavoro persa perché 5 avrei dovuto avere un corso di formazione professionale; in seguito alle 8 e mezza da Matteo per giocare a Mage. Giornata presumibilmente piena.
In realtà, ho spento la sveglia alle 9 del mattino, mi sono rimesso a letto fino all'una. Mia madre che tornava da lavoro mi ha svegliato e mi ha chiesto se avessi pagato le tasse. Io che ancora barcollavo per essere da poco stato strappato dalle braccia di Morfeo annuivo mentre lei guardava il bollettino ancora intonso sul tavolo. Prima figura di merda della giornata, e quando la fai con tua madre, la cosa è preoccupante. Pranzo a base di rigatoni al sugo e poi di corsa in banca a versare i soldi (dopo un paio di ore passate alla pratica di metodi per svegliarsi). Si entra in banca, uno si aspetta chissà quale fila, ed invece ci sono due casse aperte e tre persone. In 5 minuti sono di nuovo a casa. A vegetare. Chiama il boss al telefono, al quale dico che non sono passato a lavoro stamattina per "problemi imprevisti" e che il pomeriggio non ci sarei stato. La prende con filosofia ("Ci vediamo domani, recupererai il lavoro arretrato"). Chiama Ema, per dirmi che non si gioca più a Mage stasera. Seccato, mi adeguo alla decisione comune.
Attendo fino alle 4 e mezza che mio padre mi dica dove andare a seguire un seminario pseudo-giuridico per un lavoro (si spera) futuro. Poi gli telefono e mi dice che per oggi il corso è saltato. Va bene. E' tardi per andare al lavoro. Si continua a vegetare. L'insofferenza alle quattro mura impone di uscire. Decido per la fumetteria. Chiamo Claudio per chiedergli di venire con me: "No, ho da fare" e in sottofondo la voce di una donna... va be'... chiamiamo chi di questi problemi non ne ha. "Si, Francè, passami a prendere", "Ottimo Ema, comincia a scendere che tra 5 minuti sono da te". Manco il tempo di chiudere la porta che Ema richiama: "Niente da fare, non posso uscire... già che ci sei chiedi dei fumetti per me?". Va be', ci vado da solo.
Dopo 10 minuti arrivo e compro quello che devo comprare. E' relativamente tardi e devo riportare la macchina a mammina. Mi chiama Simone: "We, passa da me che ti do un po' di roba". Va bene. Tanto casa sua è a 20 metri dalla fumetteria, ci metterò poco. Causa riassetto stradale, entro 30 minuti sono da Simone, che mi dava per disperso. Ritiro la roba, saluto rapido e corro a prendere la mammina, che scopro con simpatico terrore essere già tornata a casa a piedi. Va be', altro cazziatone in arrivo. Corro a casa, subisco il cazziatone, ceno e vegeto. Leggo un po' di Dick, un po' gioco a Guitar Hero, un po' sclero su msn. Ripenso che la giornata è inutile e scrivo sul blog un post altrettanto inutile. Be', perché tenere in mente solo le cose degne di nota, belle o brutte? Per una volta voglio ricordare ciò che è totalmente inutile e a cui sono totalmente indifferente. Apatia, questa è la parola-chiave!
Che schifo.

Morale della favola: il troppo alcol fa male, il troppo poco alcol rende apatici e la poca vita sociale rende vegetali e ti fa pensare a cose a cui non vorresti pensare. Oltre a renderti tremendamente prolisso.

Next: l'Angolo della Bestemmia, per far diventare voi blasfemi in erba dei veri e propri Anticristo.