martedì 5 gennaio 2010

Beviamoci su...

Visto che da un po' non scrivevo, ecco un post che nasce in particolare dall'istinto di autoconservazione del mio stesso blog (che a volte mi parla sottoforma di altre persone), oltre che dall'alcool ingerito.
E visto che in particolare dopo un quantitativo di alcool ragguardevole mi sento particolarmente ispirato (questa volta l'alcool non abbondava, ma l'ispirazione alla fine è arrivata comunque), ho deciso di dedicare questo post alla sostanza che ha aiutato me e diversi poeti di fine '800 a scrivere (stronzate e non).
Il mio rapporto con l'alcool, tralasciando i bicchierini di vino che da piccolo mio nonno era solito sbolognarmi con la scusa "il vino fa sangue", cominciò a 16 anni. Ero particolarmente giù in quel periodo (che casualmente coincideva con le feste di Natale) e cercando di evitare le domande dei miei parenti ma ancor più il dolore che provavo a causa dell'amore (be', dai, ci può stare), mi ritrovai a svuotare mezza damigiana di vino per poi sdraiarmi sul lettone della nonna materna a guardare le prime puntate di Smallville in tv. Pensai in quei momenti che avevo finalmente capito quello che gli altri intendevano dicendo che il bere era l'anestetico migliore per qualunque male.
Poco più avanti, qualche mesetto dopo, mio nonno diede di nuovo fondatezza a questi pensieri: nonostante soffrivo per lo stesso motivo, la grappa corretta col caffè di mio nonno mi fece rilassare un poco. Salvo farmi affibiare il nomignolo "Bender" quando il giorno dopo non mi presentai a lavoro a causa dei postumi.
Poi ci furono momenti, diciamo, di avvicinamento all'alcool. Bevevo ogni tanto, ma giusto perché mi consideravo "un paio di bicchierini sotto lo stato di sobrietà".
Poi un bel giorno persi l'amore. E da quella sera a casa di una tipa che manco conosco, imbucatomi con una manica di amici alla festa del suo compleanno, quando bevvi come un irlandese alcolizzato, scoprii per l'ennesima volta che tutti i dolori andavano via con un paio di bottiglie di rhum. Oltre ad acquisire la convinzione esatta che anche parlare di cose che normalmente facevano stare male, non intaccava il mio morale. Quindi divenne un modo per sfogarmi su cose di cui non volevo parlare senza contraccolpi.
Poi ci furono le lunghe serate con Prisco, Donato, Mario e raramente anche Alfio, a bere come latrine. E lì anche imparai a restare cosciente per maggior tempo prima di diventare uno straccio. Ed avevo anche trovato qualcuno con cui sfogarmi. Grazie, ragazzi.
Poi venne Federica. Nonostante il nostro rapporto nacque a causa dell'alcool, mi ritrovai a bere di meno e ad affogare i dispiaceri nell'amore che nutrivo per lei.
Poi ci lasciammo e venne l'insofferenza alle quattro mura. Ed allora un bicchiere di birra mi sembrava la scusa migliore per uscire. Anche quando trovavo qualcuno che mi aiutava a smaltire i ricordi più tristi. E, come disse il buon Bellotta, aumentava la mia ispirazione.
Poi incontrai i uagliuni. Più che incontro, direi ritrovamento, in quanto di molti di loro ero già conoscente. E fu in quel momento che apprezzai l'alcool come collante sociale, più che come squallida scappatoia alle proprie disgrazie.
Si può dire che sono uscito dal tunnel dell'alcolismo.
Ma ogni tanto, nei momenti peggiori, avere un paio di litri di birra in corpo mi aiuta a rimandare i problemi almeno fino al giorno successivo.

Se dopo aver letto questo post, in molti pensate "Cosa cazzo ha scritto st'imbecille?!", non abbiatevene a male. E' pur sempre un nuovo inizio. E qui ci vorrebbe un brindisi.