domenica 8 marzo 2009

Fùsco Mario: il diabolico fornaio di Via San Carlo


Era una serata normale. O almeno era questo quello che tutti ci aspettavamo. Ma, si sa, le aspettative non rispecchiano pienamente quello che la realtà vuole far capitare.
"E' il momento di una sigaretta". Bender la buttò lì. La dipendenza alla nicotina degli astanti al tavolo gli diede ragione. Tutti si alzarono dal tavolo n.4 ed uscirono fuori del piccolo locale in cui erano soliti sorseggiare galloni di birra accompagnata da diversi giri di rhum e pera. In seguito Paco avrebbe detto "al contadin non far sapere quanto è buono il rhum con le pere", ma questa è un'altra storia. La nostra storia, invece, vedeva la nostra ciurmaglia fuori dal locale, accanto alle sottili pareti dell'abitazione di fianco ad esso.
Era un martedì. La promozione "bevi Tennent's e berrai gratis, forse" aveva attirato più persone di quanto una svendita di frustini attiri erotomani incalliti con tendenze al sadomaso. La folla li costrinse nell'angolo accanto alle sottili parete già citate una manciata di righe sopra. Tutti con le sigarette in bocca si apprestarono ad accenderle per poter tirare vivacemente dai piccoli incartamenti di tabacco e catrame, allo scopo di ottenere appagamento contingente e diverse malattie più o meno letali in un lontano (o forse nanche così tanto lontano) futuro.
La pietra focaia aveva riscaldato da pochi istanti il gas contenuto nell'accendino generando una fioca fiamma adatta al tabagismo. Simone non l'aveva ancora portata alla sigaretta quando tre colpi, ritmici e violenti, risuonarono al di sopra delle giovanili grida di divertimento e le innocue chiacchiere. E fu proprio la violenza di tali percosse, pregne di significato nel loro rabbioso ermetismo, a lasciare per un momento nel panico tutti i presenti. Solo per un momento, poi le chiacchiere ripresero il loro concitante ritmo. Solo Simone sembrò turbato. E democraticamente disse: "Meglio cambiare marciapiede". Democraticamente, tutti acconsentirono. Avevano appena effettuato il primo tiro che i colpi si ripeterono, con una disperazione ed una rabbia ancora peggiori della prima serie di percussioni. Stavolta la gioventù rimasta nei pressi del locale, e davanti la zona epicentro degli scossoni, non si intimorì più di tanto e continuò a parlare. Era divertente, quanto raggelante, scoprire quanto le persone tendessero a mettere da parte le proprie paure quando si trattava di continuare a fare i cazzi loro.
La nostra ciurmaglia, d'altro canto, sentì i colpi e profetizzò diverse possibilità sugli avvenimenti futuri. Ma, e qui mi ripeterò, la verità è peggio (o meglio) di qualunque pronostico.
Dopo un'ennesima serie di colpi, la porta dello stabile si aprì di scatto, come se una rabbia quasi ferina l'avesse fatta cedere. E di colpo, lo vedemmo. La maglia a metà maniche bianca, quasi a sfidare la natura. I pantaloni, bianchi anch'essi che sembravano essere tutt'uno con le scarpe ai piedi della creatura. Per contrasto le braccia esposte al gelido freddo invernale, pelose ed abbronzate, stringevano duramente un lungo bastone del colore di una notte senza luna in cui le stelle si fossero dimenticate di osservare le miserie terrene. E poi, il suo volto. La pelle sembrava quasi essere l'unica cosa mantenuta dal teschio, radi ciuffi di barba malrasata facevano capolino sul suo volto come cespugli di rovi in una piana desertica. Gli scuri ed orrendi capelli incorniciavano il volto tirato. Ma il particolare, l'ultimo su cui si soffermarono gli occhi dei presenti (e probabilmente in circostanze di più radicata anarchia avrebbe potuto essere l'ultimo particolare che avessero mai visto nelle loro miserevoli esistenze) furono proprio i suoi occhi. Enormi, gonfi di rabbia in maniera inumana, generavano una sensazione di orrore che l'uomo comune riusciva scarsamente a sopportare e i più trasformavano in diffuso fastidio. E fu allora che parlò.
"Ij agg'rurmì". L'arcano idioma, per quanto malpronunciato, era comprensibile ai più in quanto tutti loro avevano vissuto in quel piccolo teatrino degli orrori che era la loro città. Rabbiosamente lasciò andare il braccio per colpire una bottiglia vuota di birra laidamente appoggiata sopra il bidone della spazzatura accanto alle pareti di fianco al locale, che adesso più che mai sembravano ancor più sottili. Quasi in una parodia della condizione umana, il colpo non centrò la bottiglia, e la creatura effettuò un'orrida quanto precisa piroetta su se stesso. La rabbia che prima sembrava dare una forma alla creatura esplose violentemente, con un roco grido incomprensibile.
"Neggiamarò". Uno squillante botto fu da preludio ai frammenti che volarono via dalla bottiglia ormai mutilata da un secondo colpo di gran lunga più preciso del primo. Il terrore dei presenti li lasciò immobili sul posto. I nostri eroi, a distanza di sicurezza, osservavano allibiti la scena.
In preda ad un secondo, e forse ancor più violento raptus, la creatura lanciò il bastone in aria, verticalmente sopra di sè, forse per affermare la sua maestria nella padronanza di quello strumento improprio di distruzione. Ed il terrore dei presenti non si smorzò neanche quando, forse in preda ad una rabbia cieca, la creatura mancò clamorosamente il bastone, che rimbalzò al suolo. Quasi stupefatta, la creatura osservò il momento della sua disfatta. Ma solo per un attimo. Prima che chiunque potesse anche solo pensare di lanciarsi sopra l'abominio per fermare la sua furia cieca, la creatura aveva già recuperato il suo arnese, che era tornato ad essere una parte di sè. I nostri continuavano a guardare, senza osare muovere un muscolo nemmeno per tirare dal filtro delle loro sigarette che sprecavano tabacco in intrecci di fumo forieri di sventura. Continuando il suo farfugliare di oscenità, la creatura si avvicinò ad uno dei presenti, che si trovava esattamente dove la ciurmaglia era fino a poco prima che Simone suggerì di migrare verso lidi (o marciapiedi) più sicuri. L'esere afferrò il giovane, e lo trascinò dentro la sua tana, forse per consumare la sua meritata cena. Ma il fato volle che il ragazzo riuscisse a scappare, e tornasse per raccontare gli orrori che aveva visto nella tana della creatura, che, per quella sera, sembrava aver placato la sua rabbia.
"L'avevo detto io, che era meglio spostarsi" sentenziò Simone, ripresosi dal terrore. Gli altri gli diedero ragione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Quella sera abbiamo imparato tutti una lezione importante: quando il profeta ha assunto un quantitativo sufficiente di nettare scozzese (o talvolta irlandese) et similia, egli parla con la chiarezza e la saggezza di qualcuno che vede al di là delle cose terrene...
Che magnifica serata... XD